15 luglio – Anniversario nascita Santa Francesca Cabrini patrona degli emigranti
Una fragile quanto straordinaria maestrina di Sant’Angelo Lodigiano. In questo ritratto si colloca la figura di Francesca Saverio Cabrini. Nata nella cittadina lombarda nel 1850 e morta negli Stati Uniti in terra di missione, a Chicago.
Orfana di padre e di madre, Francesca avrebbe voluto chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua malferma salute. Prese allora l’incarico di accudire a un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. La giovane, da poco diplomata maestra, fece molto di più: invogliò alcune compagne a unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore, poste sotto la protezione di un intrepido missionario, san Francesco Saverio, di cui ella stessa, pronunciando i voti religiosi, assunse il nome. Portò il suo carisma missionario negli Stati Uniti, tra gli italiani che vi avevano cercato fortuna. Per questo divenne la patrona dei migranti. Nel giorno della morte il suo corpo venne traslato a New York alla «Mother Cabrini High School», vicino ai suoi «figli». (Avvenire)
Tra il 1901 e il 1913 emigrarono in America ben quasi cinque milioni di italiani, di cui oltre tre milioni provenivano dal meridione. Un vero morbo sociale, un salasso, come lo hanno definito parecchi politici e sociologi. Accanto ai drammi che l’emigrazione ebbe a suscitare, merita ricordare una santa italiana, festeggiata il 22 dicembre, che a questo fenomeno guardò con gli occhi umanissimi di donna, di cristiana, meritando così il titolo di “madre degli emigranti”: Santa Francesca Saverio Cabrini.
Nata a Sant’Angelo Lodigiano il 15 luglio 1850 e rimasta orfana di padre e di madre, Francesca desiderava chiudersi in convento, ma non fu accettata a causa della sua salute malferma. Accettò allora l’incarico di accudire un orfanotrofio, affidatole dal parroco di Codogno. Da poco diplomata maestra, la ragazza fece ben di più: convinse alcune compagne ad unirsi a lei, costituendo il primo nucleo delle Suore missionarie del Sacro Cuore; era il 1880.
Ispirandosi al grande San Francesco Saverio, sognava di salpare per la Cina, ma il Papa le indicò quale luogo di missione l’America, dove migliaia e migliaia di emigranti italiani vivevano in drammatiche e disumane condizioni. Anche lei nella prima delle sue ventiquattro traversate oceaniche condivise i disagi e le incertezze dei nostri compatrioti, poi con straordinario coraggio affrontò la metropoli di New York, badando agli orfani e agli ammalati, costruendo case, scuole e un grande ospedale. Passò poi a Chicago, quindi in California, onde allargare ancora la sua opera in tutta l’America, sino all’Argentina.
A chi si congratulava con lei per l’evidente successo di cotante opere, Madre Cabrini soleva rispondere in sincera umiltà: “Tutte queste cose non le ha fatte forse il Signore?”.
La morte la colse in piena attività durante l’ennesimo viaggio a Chicago il 22 dicembre 1917. Il suo corpo venne trionfalmente traslato a New York presso la chiesa annessa alla “Mother Cabrini High School”, perché fosse vicino ai suoi “figli”. Nei suoi quaderni di viaggio aveva scritto “Oggi è tempo che l’amore non sia nascosto, ma diventi operoso, vivo e vero”. Papa Pio XII l’ha canonizzata nel 1946.
Autore: Fabio Arduino
“La vostra Cina saranno gli Stati Uniti”
Francesca nacque nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, in una numerosa famiglia di contadini benestanti e cristianamente praticanti. Nella sua famiglia imparò non solo il fervore religioso e un certo spirito di iniziativa, ma anche un sincero amore alla patria italiana, non frequente in quei tempi. Questo giusto sentimento patriottico che cercò di risvegliare o di tenere desto nei numerosi emigranti italiani negli Stati Uniti.
onseguito il diploma magistrale e l’abilitazione, anche per accudire insieme alla sorella Rosa l’altra sorella handicappata Maddalena, accettò subito il lavoro di supplente nella scuola vicina di Vidardo. Qui insegnò due anni. Un episodio ci rivela il carattere e la determinazione di Francesca. Riuscì infatti a vincere la battaglia contro il sindaco anticlericale del paese: ottenne il permesso all’insegnamento della dottrina cristiana in classe nonostante la proibizione governativa. Lei però desiderava ardentemente diventare missionaria. Sogno che non poté realizzare subito. Fece anche i voti religiosi entrando nella Casa della Provvidenza di Codogno. Furono anni difficili, (“ho pianto molto” dirà lei stessa) che lei affrontò con coraggio e praticando la virtù dell’obbedienza.
Ma la Provvidenza le venne incontro nella persona del Vescovo di Lodi che le propose di fondare un istituto religioso per l’assistenza degli emigrati italiani in America. L’America non era la Cina che lei sognava, ma l’ideale missionario si poteva concretizzare ugualmente. Fondò presto Le Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, con case in Lombardia, ed una anche a Roma. Il secondo intervento provvidenziale arrivò con Mons. Giovanni B. Scalabrini. Questi cercava un ramo femminile al suo Istituto, e stimava molto la Cabrini. Lei però temendo di perdere l’autonomia dell’istituto, resistette alla proposta. Ma accettò subito la direzione di una scuola e di un asilo a New York. Questo significava l’addio per sempre alla Cina. D’altra parte, ed ecco il terzo intervento provvidenziale, era stato nientemeno che il Papa Leone XIII a dirle paternamente: “Non a Oriente, Cabrini, ma all’Occidente. L’Istituto è ancora giovane. Ha bisogno di mezzi. Andate negli Stati Uniti, ne troverete. E con essi un grande campo di lavoro. La vostra Cina sono gli Stati Uniti, vi sono tanti italiani emigrati che hanno bisogno di assistenza”.
Francesca partì nel 1889. Destinazione l’America, città New York. Era sicura della volontà di Dio, e del campo di lavoro missionario. Ma le difficoltà non si fecero attendere. Uno dei primi che si mise a ‘remare contro’ di lei e il suo progetto fu addirittura l’arcivescovo Corrigan. Fece la parte dell’avvocato del diavolo scoraggiando quel manipolo di suore temerarie e… italiane che sembravano avere tanta fede ma, ahimè, poco “money”. Anche per le opere del Signore, pensava lui, ci vuole molto “denaro”. Che, poverette, non avevano. Non era più saggio tornare in Italia? La Cabrini gli oppose un argomento spirituale… la benedizione del Papa, e uno materiale: l’amicizia di una ricca cattolica americana, moglie di un emigrato italiano illustre, Luigi Palma de Cesnola, direttore del Metropolitan Museum.
Non si sa se il prelato fu convinto da questi due “argomenti”, ma è sicuro che la Cabrini continuò per la sua strada e il suo progetto. “Le suore aprirono una prima scuola femminile in un modesto appartamento offerto dalla contessa de Cesnola, ma si impegnarono anche in un lavoro di assistenza e di insegnamento nei quartieri più degradati della città, compiendo ogni giorno chilometri di strada ed entrando senza paura in ambienti spaventosi per miseria e violenza. Madre Cabrini dimostrò subito di saper affiancare alla sua attività di educatrice religiosa una spiccata sensibilità per i problemi degli emigranti italiani: “Gli italiani qui sono trattati come schiavi… bisognerebbe non sentire amor di patria per non sentirsi ferita” (L. Scaraffia).
Ella lavorò tutta la vita, con innumerevoli viaggi, per aiutare ad inserire gli emigrati nella realtà sociale americana, facendone dei buoni cittadini, ma nello stesso tempo rafforzando in loro anche l’identità italiana e cattolica. In questa promozione sociale Francesca usò una tecnica il cui principio era: convincere gli italiani ricchi ad aiutare gli altri italiani meno favoriti. Ed alcuni dei suoi benefattori, convinti e incalliti anticlericali, la aiutavano trascinati dal suo carisma più che dalle motivazioni teologiche.
“Si è detto che se Cristoforo Colombo ha scoperto l’America, la Cabrini ha scoperto tutti gli italiani in America. Ma pur sentendosi autentica patriota e quantunque circostanze particolari la inducessero a rendersi cittadina americana nel 1909, il suo ideale missionario rimase sempre quello genuino, senza confini di razze e di geografia” (G. Pelliccia).
Spiritualità e messaggio di Francesca Cabrini
Continuò con coraggio nel suo lavoro di fondazioni di nuovi istituti e di rafforzamento di quelli esistenti e soprattutto nel seguire l’Istituto delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato. E questo fino alla fine della sua vita, che si spense a Chicago, durante uno di questi viaggi, nel 1917. Lasciando dietro di sé in eredità alla chiesa tutta e al mondo un fiorente istituto religioso e la sua personale santità e testimonianza di carità apostolica a beneficio particolarmente degli emigrati italiani (ma non solo).
Fu dichiarata santa da Pio XII il 7 luglio 1946 e nel 1950 proclamata “Celeste Patrona di tutti gli Emigranti”. Due anni dopo, in considerazione del suo lavoro per gli Italo-americani, il Comitato Americano per l’Emigrazione Italiana le decretava un importante riconoscimento dichiarandola “La Immigrata Italiana del Secolo”. Per gli emigrati italo-americani è semplicemente “la loro santa”: la sua opera geniale, coraggiosa la fece stimare anche in ambienti non benevoli verso il cattolicesimo, e aiutò enormemente a far cambiare idea sui nostri connazionali emigrati.
Francesca Cabrini non la ricordiamo per le sue opere teologiche o per grandi rivelazioni e miracoli. Niente di tutto questo. Noi la ricordiamo per la sua santità semplice, umile, fatta non di tante ore di preghiera, ma per tutte le ore delle giornate, di tutta la sua vita, passate a “lavorare, sudare, faticare per Dio, per la sua gloria, per farlo conoscere ed amare”. Una santità fatta non di rapimenti o di rivelazioni mistiche, ma di grande impegno sociale per Dio. Non fu rapita in estasi nella contemplazione di Dio, ma consumò la vita “lavorando” per lo stesso Dio. Con gioia. Un giorno, infatti, fermò una suora che era sul punto di imbarcarsi per andare nelle missioni, solo perché salutando parenti e amici, aveva affermato che faceva volentieri “il sacrificio”. Sembrava che per lei si trattasse di una rinuncia da fare, che le mancasse la gioia di partire e “lavorare per Dio”. Madre Cabrini la fermò dicendole: “Iddio non vuole importi sacrifici così gravi”.
Il Papa Pio XI esaltava il suo nome come un “poema di attività, un poema di intelligenza, un poema soprattutto di carità”. E prima ancora era stato lo stesso Leone XIII che già nel 1898, affermava di lei: “È una santa vera, ma così vicina a noi che diventa la testimone della santità possibile a tutti”. Una santità “accostevole” imitabile da tutti, perché consiste nel fare bene e per amore di Dio quelli che sono i nostri doveri. Questo richiama la famosa frase e programma di santità consigliato da Don Bosco a Domenico Savio, smanioso di farsi santo a forza di penitenze: bastava l’esatto adempimento dei propri doveri quotidiani.
La santità e “la spiritualità intensa di madre Cabrini si realizzò soprattutto nelle opere, nella sua continua attività finalizzata ad opporre del bene al male. La preghiera stava nei fatti, non nelle parole. La sua vita è segnata da una perpetua attività” (L. Scaraffia). Fatta tutta per Dio e per correre dietro al Cristo. Diceva: “Con la tua grazia, amatissimo Gesù, io correrò dietro a Te sino alla fine della corsa, e ciò per sempre, per sempre. Aiutami o Gesù, perché voglio fare ciò ardentemente, velocemente”.
Lavorare per Dio nella gioia (anche quando si pensa di avere diritto a tutt’altro). Non amava lamentarsi nelle difficoltà e raccomandava alle sue figlie non solo tanto lavoro ma anche il coraggio, fondato sulla fede, che si esprime nel sorriso: “Ci sentiamo male? Sorridiamo lo stesso”.
Autore: Mario Scudu sdb
Testi tratti dal sito http://www.santiebeati.it/Detailed/35800.html