I Pompieri Italiani fucilati a Chorrillos (Perù) durante la guerra del Pacifico
Il 13 gennaio 2018 ricorre il 137° anniversario della fucilazione di tredici Pompieri Italiani durante la guerra del Pacifico combattuta tra Perù e Cile. Un episodio questo, noto in Perù ma quasi completamente ignorato in Italia. Il testo è liberamente tratto dalla commemorazione tenutasi nel 56° anniversario dell’evento.
…. Sono tredici feretri allineati, tredici brandelli di carne nostra, tredici anime che sorvolarono per la terra, senza conoscere la viltà. I tredici, che interamente compirono il precetto di Abramo: Quando tu sarai pellegrino la tenda che ti ospita arderà nel fuoco; tu brucerai con essa. Canteremo subito i nomi, perché del racconto, quivi é bellezza:
Angelo Cipollina, Giovanni Pali, Filippo Bargna, Giobatta Lionaidi, Paolo Risso, Giovanni Ognio, Enrico Nerini, Angelo Descalzi, Luca Chiappe, Giuseppe Orenzo, Paolo Marsano, Egidio Valentini, Lorenzo Astrana.
Fra essi, gente ormai giunta a sera; figlioli che avevano caldo ancora il bacio della madre. Ognio di Recco, cinquantenne, fratello al Branca, quello dalla mano mastodontica che dove premeva le dita, stritolava. Chiappe, dai capelli ricciuti di adolescente venuto appena da mesi, dal natio colle di N. Signora della Neve, sotto l’arduo campanile di Cogorno. Era uscita di lassù fresco novembre, quando il clima muore gemevano sotto gli strettoie. Giuseppe Orengo, che ogni sera, sul Malecón deserto, faceva, rivivere la “maggiorana” della sua terra busallese che si disseta allo Scrivia.
L’estate era cominciata presto, quell’annata. Il Natale afoso del dicembre dell’80, sembrava si fosse ribollito al fuoco delle cannonate che da Chilca strepitavano nel cielo fino ad Ancón. La guerra affacciava assassina sullo specchio del mare e sulle dune del deserto, arrotava, l’unghia sopra le porte della città maggiore. Gli abitanti, anche senza l’esortazione del comando erano scomparsi. Solamente gli stranieri, legati per tutti gli interessi alla sorte della cittadinanza, rimasero sul posto sotto la protezione della loro bandiera e della fede civile. Fra loro, gli Italiani, erano i più. La opulenta Chorrillos di quell’epoca ne contava a centinaia, mercanti, agricoltori, lavoratori di spiaggia. Tutta gente che aveva monopolizzato l’agricoltura della grassa Lurín e che sosteneva il transito per la Repubblica. Tanto per mare come per terra. Anche i “pulperos” ed i pescatori vi erano in profusione. A loro, non toccava certamente andarsene, il Console, il Ministro, lo avevano sconsigliato con tranquillità, l’abbandono? Giammai, dacché la guerra é guerra, gli stranieri non ne furono disturbati. Se ne stessero cheti tra le loro mura ed innalzassero il tricolore. Se non lo avessero, la legazione lo regalava. In quegli anni, ogni italiano era pompiere.
Si restò d’accordo che, tutti dovevano congregarsi in divisa, nella caserma. Non si sa mai! La pompa Garibaldi aveva anche un reparto di ambulanza; forse avrebbe dovuto uscire. A Callao, nel ’66, la nostra “Bellavista” aveva fatto così sotto le cannonate spagnole della “Numancia”. A Chorrillos, si sarebbe ripetuto lo stesso. Dunque, timore non ce n’era, anzi, pareva giunto il momento di fare un po’ di bene! Parole testuali del Pompiere Berisso. Alle dieci, “El cielo ardía y atronaba” scrive Vicuña Makenna (storico cileno), la città era scossa dai brividi dell’agonia. Già la disperazione adunghiava. Le compagnie di sbarco della flotta cilena ormai padrone della spiaggia, assaltavano il “Morro” come arieti in furore. I Peruani dalle balze e dal cocuzzolo, li difendevano pazzescamente. Assieme alle fucilate, facevano rotolare giù macigni. Brutto segno!- U castello a tia sascii -osservò cupamente Angelo Descalzi, posto di guardia sul “mirador” –La va mal…- E scese impensierito. La morte tambureggiava. La tenaglia feroce aperta dal mare al monte, si serrava sanguinosa sulla città acquattata. Tutto ad un tratto, la tromba urla tre note di furore. Chi le sente e chi le capisce, si trova il cuore in gola. ” El deguello, la matanza …Il massacro”. Chi può, fugge; chi vede un buco, vi si precipita; ma chi, va solo, all’aperto, piega il collo ed aspetta il fendente…
Un urlo lontano, come il cupo fragore che annunzia il terremoto, avvolge il vicinato esterrefatto. Fragore e fischi, dopo, le fiamme. Una ragazza, forse una ‘mucama” (domestica) di un “rancho” abbandonato, viste dalle inferriate le prime lingue di fuoco crepitanti in capo alla strada, urlò disperata: “Virgen Santa, los bandidos queman (bruciano) Chorrillos!” e fece, per scostarsi. Una scarica di palle, la inchiodò sul posto. Poi, di momento in momento, nuovi razzi di faville e spirali nereggianti di fumo, nascevano dà ogni parte dell’abitato. La distruzione e la morte ballavano la ridda. Un gruppo di “muchachos” esterrefatti ed istupiditi dal terrore, si riverso urlando verso, la cancellata della “Garibaldi”.- Bomberos!; Bomberos! nuestra casa arde. Todo arde y todo matan.– E già dentro, si lasciarono cadere in terra come feriti. – Bien – rispose il capitano Rossi – ¡Ya vamos!- La tromba garibaldina chiamò a raccolta. Un solo ordine: – Usciamo tutti colle pompe.- Dal “mirador” della caserma, dove, smorto e senza vento pendeva il gagliardetto della “Compagnia”, si poteva benissimo osservare i roghi fumanti che, ad ogni minuto aumentavano fra terra e cielo. Sulle piazze, per le strade, solitudine tetra; solo i piombi gnaulanti correvano brividosi da capo a capo. Luca Chiappe, caporale di scale, giovincello quasi in pubere, vista dalla porta ardere la “pulpería”(negozio) del suo padrone, sull’angolo della via ,”Olaya”, voleva a tutti i costi trascinare lì i pompieri e spegnerla. Un ceffone del comandante lo frenò nell’impulso. –Tu farai quello che dico lo. Qui bruciano tutti, non solamente il tuo padrone!– Il ragazzo tacque. Ma, appena uscito abbandonò la ruota che trainava a forza di braccia e corse colla scure in aria a ritenere il fuoco che divorava la bottega. Dietro il vortice di fumo, aveva potuto vedere la faccia impazzita di Zoralda, sbarrata in casa già condannata e arsa viva alla pira. Zoraida la leggiadra figlia di Ognio, che fin da quando era giunta dall’Italia amoreggiava con lui. Ognio l’aveva preceduto. Era riverso sul limitare del fuoco con la testa spaccata. Al Chiappe saltarono addosso due sergenti del “Buin” che gli spararono a bruciapelo con i fucili, poi raccolte le piccozze dei morti, lo portarono davanti al colonnello Fuensalida, giurando che erano stati assaltati da “diablos vestidos de colorado”(diavoli vestiti di rosso). Al doppiare la “calle del Tren”, presso lo splendido negozio che dopo fu del cogornese Queirolo, i pompieri, stese le maniche, inondarono coi primi getti l’immane rogo ché già aveva avvinto tutta la manzana (l’isolato).
Il crepitio dell’acqua fumante sopra le rovine, fu subito coperto da una raffica di urli e di spari. Torme di “lanceros” ancora colle picche in mano si precipitarono. Un ufficiale, dalla casacca, sporca dal vomito dell’ubriacatura e dal fango del saccheggio, stravisti i pompieri dal berretto rosso, comincio a sbraitare e a sparare colla pistola:”Los garibaldinos de Garibaldi nos atacan”,(I garibaldini di Garibaldi ci attaccano), e si nascose fra i suoi. Erano ancora i tempi quelli che il solo nome di Garibaldi, incuteva paura. Disgraziatamente dagli stessi nostri, usci la condanna: –Non siamo garibaldini, siamo pompieri, Non attacchiamo nessuno! – “Cazadores” soldati di artiglieria, marinai della squadra, fecero causa comune. Non si arrischiava nulla. La pompa fu rovesciata, a furia di spintoni. Nei cadere scoppiò, l’onda del vapore investì i più vicini. Cipollina, Leonardi, Nerini, ustionati, portarono le mani agli occhi. Non videro i “corvos” (coltelli dalla lama ricurva simili ai Machete) che gli lampeggiavano sotto la gola. Come biscie spente, furono gettate le irrigatrici tagliate a pezzi, sbrandellate a furia. I pompieri che sedevano a cassetta e quelli che erano stati impigliati tra la. pompa riversa ed il fuoco, furono accerchiati inchiodati colle baionette, fatti prigionieri. I più distanti, gettata l’uniforme, arrivarono a scappare; la confusione era cosi nera, che nessuno li vide. Un clamore immenso coprì gli altri immensi clamori. – Los garibaldinos prisioneros! ¡ Garibaldi prisionero!-Queste parole, le ripeté anche Pallora capitano Renard, quel bel tomo dell’assedio proletario di Iquique. Uno stuolo di ufficiali a cavallo, che venivano dalle difese di “Monterrico” senza saper niente, e senza domandar niente, si dettero a menar scudisciate sugli inermi, e dopo, fattili legare alle code dei cavalli, li trascinarono a galoppo davanti a Lynch. –I francos tiradores Italianos! – Di questa infame accusa, dettata da tutte le iniquità della guerra, e della vigliaccheria umana messe insieme, non si é mai potuto sviscerare nulla. La Legazione Italiana di Lima, il comandante della “Piro Corvetta Colombo” ancorata a Callao, ne ebbero appena sentore tre giorni dopo. Otto superstiti dell’eccidio: Angelo Descalzi, Guiseppe Orengo. Egidio Valentino, Astrana Lorenzo, Paolo Marsano, Paolo Risso, Giovanni Pali, Filippo Bargna, accusati e “convinti” di alto tradimento, di aver usato le armi contro i “soldati inermi”; furono fucilati la mattina del 14 gennaio del 1881, dietro le mura del Panteon del vecchio Chorrillos.
Oggi nel Camposanto del Distretto di Santiago de Surco vi è un imponente Mausoleo che conserva le salme dei nostri eroi, in precedenza era stato eretto nel Cimitero di Chorrillos da dove fu spostato nel 1956.- La Compagnia dei Pompieri Garibaldi, ricostituita il 13 febbraio 1893, oggi è ancora in attività. (foto sotto)
Pietro Liberati
tratto da http://www.peruanita.org/
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