Dal presidente Daniele Marconcini:Le notizie del terremoto in Abruzzo mi sono arrivate improvvisamente con grande evidenza via Internet . Ho colto immediatamente l’ampiezza della tragedia Ho pensato ai luoghi dove per tanti anni sono andato in vacanza al mare, quando avevo la bimba piccola. Ho pensato come tutti, agli amici abruzzesi che avevo e sono arrivato immediatamente con il pensiero all’amico Dino Viani di professione regista, per vocazione artista e per mia e altrui convinzione poeta. Ho mandato prima un sms e poi ho telefonato…”
Dino come stai?”…”
Bene mi dice ma sono sconvolto…paralizzato dal dolore”…”
Dino – gli dico-
ma non vai a documentare questa tragedia?…..”
Non me la sento – mi risponde –
sono troppo emozionato ..e poi non potrei lavorarebene di fronte a tanta distruzione“ –
Dino – gli dico –
trasforma le tue emozioni in immagini,magari scrivile, in una sorta di diario…serviranno soprattutto dopo quando l’emozione del momento verrà sopraffatta dalla vita quotidiana e quando si dovrà affrontare una lunga ricostruzione sia materiale che morale, soprattutto di chi ha perso tutto. Quando non ci sarà più la tv… tutto potrebbe essere avvolto dal silenzio. Tu sei un poeta dell’immagine e delle emozioni ! Anche tu puoi far molto per far rinascere la tua terra, l’Abruzzo… Io ti darò una mano con i nostri Portali Internet per divulgare una immagine più vera e più profonda di questa tragedia“ . Da questa discussione è nata una corrispondenza di Dino Viani. La dedichiamo a tutti gli amici abruzzesi nel mondo che con trepidazione seguono le dolorose vicende della loro terra e che si stanno adoperando con le nostre comunità italiane al’estero per aiutare i loro, i nostri fratelli abruzzesi. Scrivete a Dino. Leggetelo e sostenetelo… non è facile descrivere la realtà di questa tragedia mentre la sofferenza delle persone, della tua gente che incontri ti penetra nel profondo del cuore…
8 aprile 2009 h 9.30, decido di partire per le zone terremotate senza una meta precisa, sento che devo andare con la consapevole frustrazione di non poter fare nulla. E’ una reazione isterica alla paura, come il cane che si mette a correre all’infinito dopo lo scampato pericolo.
Percorro la statale che da Chieti porta a Popoli, tutto intorno è come se nulla fosse accaduto, la vita scorre con i ritmi di sempre. Il cielo sopra di me è azzurro liquido, il sole cala a picco, il termometro di una farmacia segna 27 gradi. Lungo la strada, ai soliti posti, c’è il porchettaro che vende i panini, il contadino con finocchi e verdure, una donna anziana con mazzetti di primule e violette, un signore con piccoli fascetti di asparagi selvatici. E’ primavera, lo si percepisce forte dalla luce e dall’aria che s’impone sul paesaggio ancora un po’ sonnolento, reminiscenze lievi dell’inverno appena passato. All’altezza di Bussi, in una area riservata, una famiglia fa pic-nic. Attraverso velocemente la galleria e giungo a Bussi, due ambulanze imbiancate di detriti si dirigono silenziose verso la costa.
La loro improvvisa apparizione rompono l’incantesimo suonando funeste dentro di me, come una nota cupa che al cinema prelude al tragico, alle scene che mettono paura. Faccio finta di nulla e vado avanti distratto dalla bellezza del paesaggio delle piane di Navelli, i mandorli in fiore mi riportano alla valle dei templi di Agrigento. Trattori giganti solcano la terra con grossi
aratri, altri concimano, sulla strada le ambulanze impolverate si incrociano sempre più frequentemente. All’altezza di Castelnuovo mi fermo, alla mia sinistra c’è il ristorante “ La cabina “, rinomata trattoria, famosa per i suoi piatti allo zafferano, prodotto tipico di questo altopiano che rende gli alimenti di un colore giallo inconfondibile e un aroma indescrivibile, una bontà unica. A distanza di secoli, questo prodotto autoctono, alimenta ancora l’economia agricola di questi luoghi. La polverina preziosa viene estratta ancora manualmente dai pistilli del suo fiore, poi essiccata al fuoco con dei setacci prima di essere confezionata in minuscole bustine.
Alzo lo sguardo, l’edificio è sventrato, imploso, sembra colpito dall’alto da una “bomba intelligente”: travi spezzate come costole, mattoni, pietre, tavoli, forografie di momenti felici e una lampadina che ondeggia nel vuoto, sola. Svolto a sinistra verso il borgo antico, all’ingresso del paese una signora anziana sbarra la strada come una sentinella. La donna ha lo sguardo rivolto altrove, nel vuoto, e parla a ruota libera pronunciando parole incomprensibili come un relè impazzito. Rimango impietrito a poca distanza da lei e non so che fare, mentre imperterrita continua quella litania infinita, impassibile, senza minimamente curarsi della mia presenza. Sembra una casa miracolosamente rimasta in piedi ma implosa dentro e piena di macerie.
Parla a bassa voce facendosi domande e riposte in un misto di inglese e dialetto, ripete spesso Brisbane, Australia; parla della sua home con il prato all’inglese: lu drimmes (dream), lu carre (car)con accento dialettale; in dialetto stretto parla di una nave che parte da Napoli,1950, i genitori, gli amici di scuola che chiama tutti per nome, e ad ognuno ripete: viste ca successe mo? Fotogrammi da salvare, frammenti di pellicola di un film da rimettere disperatamente insieme, quando si è perso tutto e si fa fatica a dire al mondo di esserci stati, perché ognuno è quello che ricorda. Mi tremano le viscere, la testa mi scoppia, vorrei mettere una mano davanti alla sua bocca per non farla più parlare, oppure scappare ma le mie gambe sono rigide e piantate sull’asfalto. Poco distante da lei, seduto sulle scalette di una casa che non c’è più, un vecchio osserva attonito il via vaifrenetico di quelle strane macchine rumorose che da quelle parti sicuramente non si erano mai viste. Le case sono attraversate da lunghe crepe, per lungo e largo, alcune sono adagiate sul fianco, come donne anziane sedute, l’una al fianco dell’altra, dopo una lunga camminata, altre sventrate. Il centro storico non esiste più, secoli di bellezza e di storia in cumuli di macerie e polvere. Le rondini che hanno nidificato sotto i cornicioni screpolati,
l’anno prossimo non troveranno più nulla. Gli elicotteri solcano senza sosta il cielo azzurro, mi sembra di essere dentro un reportage tv da un luogo di guerra. Vago tra le macerie di questo luogo fantasma, tra le ombre e le anime dei morti che mi parlano, come Ulisse in cerca della voce della madre.
Dino Viani Chieti 9 aprile 2009
Due parole su di me.
Faccio il cinema perché è l’unico modo che ho per dare forma ai miei sogni e, soprattutto, perché ho da sempre una gran paura di morire.
Esprimermi con le immagini mi permette di vivere una vita sospesa tra il sogno ed il reale.
Le prime lezioni di cinema mi sono state impartire dalla mia bisnonna di cento anni, che mi teneva in braccio ipnotizzandomi con i suoi racconti di fate, folletti ecc.
Il mio primo cinema è stato il focolare della mia casa di campagna, le ombre riflesse sul muro e quelle degli antenati che tornavano a farci compagnia nelle infiniti notti invernali.
Sono nato vecchio, così vecchio da sentirmi ogni giorno un bambino buttato con profonda meraviglia sul mondo.
Fare il cinema è per me un grande privilegio, la quotidiana possibilità di verificare il senso della mia presenza su questo mondo, per questo mi piacerebbe farlo fino all’ultimo dei miei giorni, fino all’ultimo respiro. La vita e la morte come un sogno, una magnifica illusione.
Dino Viani Chieti Italy
Skype: gauchoari www.youtube.com/dinoviani www.myspace.com/dinoviani