Com’ è stata l’esperienza milanese, Andrea?
Ho lavorato a Milano per cinque anni e la considero un’esperienza positiva: ho avuto la fortuna di incontrare sempre persone corrette che mi hanno insegnato molto. L’esperienza internazionale però mi attirava da tempo; la voglia di vedere e conoscere un nuovo mondo, un diverso modo di vivere e di fare il mio lavoro. La scorsa primavera ho iniziato a parlarne con i partners dello studio dove lavoravo, ho descritto loro la mia voglia di mettermi alla prova e insieme abbiamo cominciato ad aprire lo sguardo verso il mercato del lavoro estero allo scopo di capire quali fossero le aree più attive e dove quindi fosse più semplice trovare un lavoro.
Dove è ricaduta la scelta?
La scelta è ricaduta sull’Australia: un mercato del lavoro attivo, paese di madrelingua inglese e con possibilità di ottenere il visto (anche se solo per un anno) molto facile. E così è stato. Il primo novembre 2010 sono partito zaino in spalla e valigia alla mano per Melbourne, dove sono sbarcato due giorni dopo.
Com’è stato l’arrivo, il primo impatto che, di solito, intimorisce e incuriosisce la maggior parte delle persone?
Il primo periodo è stato il più duro, non ero mai stato prima in Australia e partivo un po’ allo sbaraglio. La difficoltà però mi ha permesso di apprezzare appieno la grandezza di certe persone, spostarsi a 30 ore da tutto ciò che si conosce toglie molti appoggi ma associa il giusto valore a quelli che rimangono saldi. Il primo regalo che questa esperienza mi ha dato è stato, infatti, il permettere di apprezzare il legame con alcuni amici, l’appoggio della mia famiglia, il sostegno dei mie ex-datori di lavoro, la disponibilità delle persone che ho incontrato mentre organizzavo la partenza, la semplicità dell’amicizia delle persone conosciute una volta partito…
Che cosa ti sentiresti di raccontare, a tuo parere, degli australiani?
Sbarcato a Melbourne, ho da subito avuto la prova di quanto possano essere strani e splendidi gli australiani. Una ragazza amica di un’amica di una mia amica (non è un gioco di parole ma la realtà) si è proposta poco prima della mia partenza di venirmi a prendere all’aeroporto e ospitare per il primo periodo e così e stato: mi ha recuperato agli arrivi internazionali, portato a casa sua e salutato con un !Ciao io vado al lavoro, queste sono le chiavi di casa!. Ci vediamo stasera!!. Dopo qualche giorno per non abusare dell’ospitalità mi sono spostato in un ostello e lei si è quasi offesa! In un paio di settimane ho poi trovato una sistemazione, una casa a North Melbourne, quindici minuti di bicicletta dal centro in condivisione con altri due ragazzi, uno è un ricercatore tedesco mentre l’altro, qui per un Dottorato in ingegneria, viene da Singapore.
Per quanto riguarda la dinamica di inserimento professionale, invece?
Lo step più duro è stato invece quello lavorativo. Quando sono partito l’ho fatto con un visto chiamato “Work and Holiday”, questo permette di state in Australia per un anno ma di lavorare per un datore di lavoro al massimo per sei mesi dopodiché si è costretti a cambiare. Questa cosa è stata un grande ostacolo, per uno studio d’architettura sei mesi sono generalmente troppo pochi. Dopo un mese trascorso inviando e consegnando i curriculum a mano, affrontando colloqui e sentendomi rispondere. Ci sentiamo a gennaio, ero un pò scoraggiato ma il giorno di St. Lucia è arrivata la telefonata: una di quelle chiamate che cambiano le cose. Il lunedì successivo ho fatto il secondo colloquio presso uno dei primi studi, dove ero stato e il giorno dopo, nella cassetta della posta, ho trovato la proposta contrattuale per iniziare da loro. Firmata e riconsegnata, il 4 gennaio ho iniziato come interior designer presso Hassell, uno dei più grossi studi d’Australia.
Entusiasmante! Quindi ora sei fisso in quello studio?
Adesso ho il contratto di sei mesi che ti dicevo poi, si vedrà, le possibilità sono diverse. Per ora sto iniziando a leggere i loro meccanismi, a cercare di cogliere le differenze tra il loro modo di vivere l’ufficio rispetto a quello italiani. Qui i rapporti qui sono molto informali e diretti, c’è un’alta propensione all’affidare sin da subito responsabilità anche all’ultimo arrivato (che poi sarei io). E un bel modo di fare e mi permette di misurarmi sin da subito con la realtà del lavoro senza nessun filtro.
Un buon motivo professionale per andare in Australia, che l’Italia non offre a un trentenne laureato?
Offre la possibilità di incontrare mondi e culture differenti, l’Australia è in assoluto un mix di persone provenienti da ogni parte del mondo con culture e storie diverse. Professionalmente qui le possibilità sono molte, il sistema è basato su base meritocratica e le occasioni di crescita una volta entrati nel sistema sono concrete. La sfida sta nel riuscire a entrare nel sistema. L’Australia ha un rigido sistema per regolamentare gli ingressi di lavoratori, per pensare di iniziare una carriera qui si deve cercare di ottenere uno sponsor da parte di qualche azienda o auto sponsorizzarsi e fare le pratiche per la Working Visa. Ambedue le strade sono complesse, trovare un’azienda disposta allo sponsor non è facile e la Working è abbastanza costosa. Per questo molti provano l’esperienza qui con una Work and Holiday come la mia ma questa ha regole e con limiti abbastanza restrittivi.
Cosa ci dici a proposito della qualità della vita australiana rispetto a quella Italiana (clima, ambiente. ritmi di vita di Melbourne, rapporto qualità/prezzo…)?
Il clima di Melbourne è una cosa tutta particolare, è detta la città dalle quattro stagioni in un giorno e la cosa descrive perfettamente la realtà. Ci si può alzare al mattino con un bel sole primaverile, pranzare in un freddo invernale, passare il pomeriggio sotto il sole cocente e poi mettersi un maglioncino come nella più classica sera autunnale e tutto in un giorno. Ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine, ombrello sempre in borsa e serenità nel convivere con l’imprevedibilità del tempo. La qualità della vita è buona e i ritmi più rilassati rispetto a molte città europee. Il sistema Australiano è molto funzionale e molto severo, in cambio del rispetto delle sue mille norme da un’elevata efficienza e velocità di risposta. Per un italiano entrambi i piatti di questa bilancia sono una novità, tutta questa efficienza lascia sbalorditi ma lo stesso effetto lo si ha dalla loro rigidità nell’applicare le regole; si rischiano molte salate per aver attraversato (a piedi!) col rosso magari di notte e con nessuno in giro o per una birra bevuta fuori dal perimetro segnalato di un pub.
Dopo ormai mesi dalla partenza sono contento della scelta fatta. Mi sta dando molto, più di quello che immaginavo prima di lasciare l’Italia, e sono certo che molto ha ancora da darmi.
Antonella De Bonis