Quella in Brasile rappresenta la tua prima esperienza all’estero?
No, ero abituato a viaggiare: avevo già vissuto 2 anni a Londra durante il periodo universitario e comunque qua mi aspettava la mia compagna storica, che avevo conosciuto nel ’95, in Italia. Inoltre da buon imprenditore stavo notando che in Italia le cose si facevano sempre piu complicate (stavo già valutando di aprire un’attività all’estero) e in quel periodo avevo apprezzato che il Brasile si stava aprendo economicamente. In qualità di lombardo ho riscontrato qualche difficoltà in più, perchè Rio é considerata una grande Napoli, mentre San Paolo é la grande Milano (con tutta la stima verso Napoli, ovviamente). Comunque, non cambierei mai Rio per San Paolo in quanto stile di vita: in una ci sono maggiori opportunità di lavoro, ma nell’altra si vive molto meglio. Quale Italiano orgoglioso ed attivo, sapevo che in Italia la situazione stava peggiorando e non diventerò ottimista sul futuro italiano, fino a quando non vedrò cambiare la mentalitá; e ancora non la vedo… Non si possono imporre troppe regole a noi (sicurezza, qualita , ecc..) ed esonerare altri dalle stesse regole; é come giocare a calcio vestiti da hockey: sei piu sicuro di non farti male ma sei destinato a perdere la partita.
Cosa ti ha portato in Brasile?
La nascita di mio figlio. Da anni frequentavo il Brasile perche la mia compagna é Carioca (di Rio de Janeiro): era arrivato il momento di fermarsi e quando si é deciso chi si doveva frasferire, ho preferito fare io le valigie e tuttora penso che sia stata la piu bella scelta della mia vita. Quando sono arrivato, non avevo un lavoro che mi aspettava come la maggior parte degli emigranti di oggi; un permesso di soggiorno e la mia esperienza come imprenditore erano tutto ciò che avevo. Pensavo di aprire la mia impresa ma avevo capito che in Brasile é vitale avere un network, cosi ho trovato lavoro come direttore di una impresa tessile a Farroupilha, nel Rio grande do Sul, di proprietà di un amico italobrasiliano. Facevo il pendolare tra i due Stati, fino a quando ho visto che mio figlio non mi stava riconoscendo; così ho mollato, per cercare qualcosa che fosse più vicino a casa.
Da emigrato come ti sembra il Brasile?
Il Brasile è sicuramente uno dei Paesi in via di sviluppo con maggiori opportunitá al mondo in questo momento. Ci sono grandi opportunita tipo l’Italia degli anni 60/80, ma con le proprie regole e limiti, ovviamente. Innanzitutto é un Paese molto protezionista, se non sei legato ad un brasiliano/a (matrimonio o nascita), o non hai grosse somme da investire, è meglio che resti a casa tua, perchè il governo deve garantire il lavoro a quasi 200 milioni di persone. La burocrazia e la corruzione completano le difficolta di adattamento. Comuque, come ogni Paese al mondo ha i propri pregi e difetti: basta solo capire bene questo per trovare la propria strada. Ho visto molti italiani rovinarsi perchè non hanno capito che non erano in Italia ed altri, invece, gli ho visto far fortuna.
Quali sono le attivita che state facendo come A.M.M. in Brasile?
Ci sono una serie di iniziative storico-culturali che chi visita le nostre pagine web conoscerá benissimo, in questo momento stiamo distribuendo un contributo (per il quarto anno) ad emigrati i lombardi nati in Italia, over 65 anni, in difficoltà economica e stiamo valutando un gemellaggio tra un ospedale italiano qui in Brasile ed uno lombardo come abbiamo gia fatto in Argentina. Considerando che siamo tutti volontari che se ne occupano nel tempo libero, penso che abbiamo fatto molto in questi anni e altrettanto intendiamo fare.
Qual è la situazione nei consolati?
In Brasile come in Argentina i consolati hanno le loro attività quasi monopolizzate dalle richieste di cittadinanza per discendenza che, solo in questi due Paesi, arriva quasi ad un milione di domande. Sicuramente urge una modifica della legge. Personalmente ho la mia idea su quali modifiche fare: lascerei libertà al numero di generazioni (al contrario della UE che chiede un massimo di 2 generazioni) ed aprirei anche ai discendenti delle donne nati prima del 1948. Toglierei inoltre la richiesta del certificato di matrimonio, perche considero che non sia più attuale. In compenso, esigerei che possa chiedere la cittadinanza solo chi parla italiano od, in alterntiva, abbia seguito un corso di 6 mesi all’Istituto italiano di cultura o altro ente simile. Sono stufo di vedere discendenti esigere il proprio diritto sacrosanto, senza conoscere i loro doveri.
In Italia la cittadinanza Ius sanguinis é nata dall’impero Romano che dava il diritto al figlio del soldato romano, nato con la ragazza locale, di essere cittadino Romano. Il padre, oltre a trasmettere la cittadinanza, aveva anche il dovere di tramettere la propia cultura. Lo Ius sanguinis é tipico dei Paesi con ad alta percentuale d’emigrazione, proprio per tentare di mantenere la propria cultura al contrario dello Ius solis típico di Paesi con grande immigrazione come il Brasile. Col passare delle generazioni, si é indebolita l’identità culturale italiana e son andati perduti i suoi distintivi dialetti (gli immigrati italiani non parlavano italiano ma dialetto). Giustamente, i loro discendenti rivendicano il riconocimento della cittadinanza italiana ma é un controsenso creare italiani che non sanno nulla dell’Italia e che nemmeno parlano Italiano. In questo modo rischiamo un intero mondo italiano, che non conoscerà la propria lingua; la lingua italiana. Il diritto di aquisire la cittadinanza, dovrebbe essere imprescindibile dall’acquisizione della dimensione culturale. Questo sfoltirebbe l’interminabile elenco da tutti quegli opportunisti che chiedono la cittadinanza, senza nessuna conoscienza dell’italianità. A mio parere, questo é una vergogna.
Bisognerebbe ampliare le competenze dei vicensolati, perchè trovo assurdo pensare che i Consolati generali possano far fronte a 30 milioni di discendenti. Occorre introdurre pene severissime e coatte per i funzionari che ricevano tangenti in cambio dei diritti di cittadinza. Fino a quando ci vorranno anni per ottenerla, si sosterrà la mafia dei passaporti, della quale nessuno, fin’ora, ha ammesso l’esistenza. Inoltre, ritengo che bisogerebbe offrire una maggiore informazione sia per le opportunità, tipo le borse di studio, ma anche sfatare le leggende come ad esempio che non si ha diritto alla pensione italiana se non si han pagato i contributi in Italia, o che non si ha il diritto di rimanere negli Usa a tempo indeterminato, l’Italia in questo momento é in forte crisi economica e quindi avere il passaporto italiano permette di risiedere, ma non offre nessuna garanzia di impiego, ecc. So che possono sembrare delle banalità, ma assicuro che tutti i giorni devo spiegare cose di questo tipo, infrangendo qualche sogno.
Antonello, parlaci della burocrazia brasiliana.
La buorcrazia, una delle più complicate al mondo, rende difficile fare affari in Brasile, tipo: solo se in possesso del CPF, ossia la nostra carta di identità, è possibile acquistare una casa, ma non è possibile aprire un conto corrente e quindi come puoi gestire la casa? Condominio, tasse, gás, luce, ecc ?
Per aprire una società, ci vuole qualche mese con gli stranieri, mentre si ottiene in un mese soltanto se le parti sono autoctone. Il 100% delle quote possono essere di
italiani residenti in Italia, l’importante é che l’amministratore abbia il permesso di soggiorno definitivo: quindi può essere un italiano. Non é vero, invece, che ci debba essere obbligatoriamente un brasiliano nella società. Ma nel caso in cui gli italiani volessero aprire la societá senza stare in Brasile, dovrebbero:
Andare dal notaio per fare la procura all’amministratore;
Andare alla procura della Repubblica per autenticare la firma del notatio;
Andare al consolato brasiliano per legalizzare il documento;
Farlo tradurre da traduttore giuramentato;
Andare alla procura della Repubblica per autenticare la firma del notatio;
Andare al consolato brasiliano per legalizzare il documento;
Farlo tradurre da traduttore giuramentato;
Ho visto perfino la giunta commerciale che contestava il timbro del consolato brasiliano. Spesso capita che le leggi siano tra loro contraddittorie e, questo, crea dei caos interminabili.
Tutti gli italiani vogliono vendere ma, per uno che ci riesce, 100 ci hanno provato. Bisogna conoscere il paese, sapere se quel prodotto esiste già; sapere che il Brasile é uno dei paesi piu protezionisti e quindi fa pagare dazi doganali altissimi, tanto che obbliga a raddopiare quasi il costo dei prodotti.
Pensi spesso all’Italia e ai suoi inconfondibili sapori?
Incontro molti italiani, ma non trovo nulla che mi faccia pensare all’Italia. Al di fuori di qualche raro caso, molti ristoranti che si definiscono “italiani”, non hanno nulla a che fare con il gusto italiano; si adattato piuttosto al gusto locale.
Antonella De Bonis
Ottobre 2009.