Il campionato mondiale di calcio in Sud Africa e non solo; di Maurizio Cazzaniga 4 puntata
– Pretoria 26.6.2010 Tre giorni fa mia figlia Maddalena e’ partita per l’Italia. Nell’ultima mattinata abbiamo visitato assieme la casa/museo a Soweto dove Nelson Mandela ha abitato nel primo anno della sua libertà nel 1990 dopo ventisei anni di carcere a Robben Island. Questo quartiere è stato creato dal regime dell’aparthaid nel 1948 per trasferirvi migliaia di persone solo perché avevano la pelle nera, con drammi familiari e di vicinato. Nel 1976, con i suoi 23 studenti morti, e’ diventato il simbolo della rivolta contro il dissennato regime bianco. Ora luogo turistico con finta tribù africana che seminuda canta canzoni popolari africane. Qualche timido baretto. Bambini gioiosi nella strada che sorridono mentre altri, disturbati dal nostro passaggio, giocano a soccer. Ma non ci addentriamo piu’ di tanto. Dicono sia pericoloso.
L’aeroporto Tambo International: futurista ed immenso. Un caffè ed una gustosa cioccolata con due pezzi, come si dice a Viareggio.Un abbraccio ed i miei baciotti ripetuti. Ciao, piccola.Ritorno al centro dei Volunteers di Pretoria. Assisto per servizio e pertanto gratis a Usa-Algeria. Partita dai mille errori. Oratorio. Una yankee imbandierata e colorata strips and stars mi chiede: “Per chi tifi???“ Non ho il minimo dubbio: Usa. Scelta vincente. Non ho portato i tappi ed al Loftus il baccano delle vuvuzelas, ormai entrate nelle orecchie anche degli abitanti di Marte, sono simpatiche ma al finale insopportabili. Hanno uniformato il tifo. Non piu’ canti inglesi, popopopopopo italiano, uiiiiiii spagnoli, ritmi di samba carioca. Solo questo fastidioso prolungato rumore.
Come volontario ho diritto, oltre al vestiario ed ad un rimborso spese di 100 rand giornaliero (circa 10 euro) ad un pasto ed a due bibite. Il mio ruolo sarebbe quello di operare nell’area “Volunteer Management”. In pratica dovrei controllare una decina di volontari nelle loro funzioni, cosa che faccio con tale discrezione che sembro invisibile. La fila per il pranzo servita ai 1300 volontari di Pretoria è ben organizzata. Mi viene consegnata la onnipresente scatola di polistirolo che contiene dei fagioli in una strana salsa marroncina per niente invitante, uno spiedino di carne ed un purè che potrebbe essere utilizzato nell’edilizia per cementare i mattoni. Dopo la mezza sigaretta non volontariamente donatami al Krugher, ho comprato un pacchetto di Malboro Light e finito il rancio vorrei fumare. Mi accorgo che del centinaio di volontari seduti all’aperto nessuno fuma. Strano ma in Sudafrica solo una piccola parte della popolazione è tabacco dipendente. Altra osservazione confermata: pochissime moto per le strade e per le immense intricate numerose larghe autostrade nell’area Pretoria-Johannesburg. Grazie ancora GPS. Una volta che ti ho dimenticato, senza le tue preziose segnalazioni, ho girovagato 37 minuti per ritrovarmi al punto di partenza. Ti adoro, bellissima invenzione dell’uomo.
E siamo al giorno del dramma. Alla mattina vado all’Apartheid Museum. E’ interessantissimo e approfondisco le tematiche non accorgendomi che vi passo quattro ore. L’entrata è singolare: i neri da una parte ed i bianchi dall’altra, per poi confluire in un unico percorso. Screen a volontà con filmati originali, discorsi politici, scene di violenza. Desmond Tutu, Sisulu, Botha, De Klerk e naturalmente il mitico Madiba. C’e’ esposto anche uno stranissimo camion, il Casspir, grande come un tir, che veniva utilizzato per entrare nelle township durante le rivolte. Trasportava soldati, ben armato e prodotto interamente in Sudafrica. Poi un altro amore mi ha lasciato: la mia Nazionale azzurra. Luogo dell’eccidio, Ellis Park, dove si è svolta la storica partita degli Springboxs nel 1995, quando la Nazionale Sudafricana divenne Campione del Mondo, raccontata da Clint Eastwood nel sul ultimo film “Invictus”.
Per noi invece la disfatta, che è stato pensiero dominante per tutta la notte, con la palla che esce sull’ultimo tiro di Chiellini. Tralascio la cronaca. I presupposti non erano confortanti. Ma ritenevo che la nostra superiorità tecnica avrebbe prevalso. Non quando ho visto Gattuso in campo.
Le adida, uccelli mai visti simili a grandi corvi, emettono uno strano stridio mentre nel giardino della bella casa di Andrea sto scrivendo col mio portatile, con un sole che di invernale non ha nulla. Scotta. Prendo gli appunti, presi sul retro del match schedule, che raccontano di storie di italiana emigrazione.
Filippo fa il volontario a Ellis Park. Parliamo con Massimo Caputi di “Quelli che il calcio”, casualmente in un bar accanto ad una stazione di servizio. Non lo conosce perché vede solo Rai International. “Ma ho fatto anche la Domenica Sportiva, aggiunge con un bel sorriso” il nostro schedino. Ha due occhi veramente affascinanti. Ritorniamo a Filippo: giocava bene a calcio come mediano, otto destro. Ha una faccia simpatica, parla un italiano perfetto. Ha 56 anni ed alla età di 6 anni si è trasferito con la famiglia da Avezzano ( Abruzzo) a Cairns in Australia. Il padre Duilio ha lavorato la terra e la canna da zucchero. Ha tre figlie femmine che non parlano italiano ed una moglie australiana. E’ ingegnere elettronico. “La mamma Giuseppina ha insegnato a tutta la famiglia l’arte della pasta” mi dice radiante. Riccardo, suo compagno come volontario a Ellis Park, è da 50 anni in Sud Africa e mi dice che la violenza lui a Johannesburg non l’avverte perché le bande di criminali o “prendono di mira quelli che hanno tanti soldi o quelli che non li hanno”. Ed invece penso sia un problema serio. Circa 43 omicidi giornalieri in Sudafrica.
Le difficilta’ legate ai crimini che noi abbiamo con i nuovi immigrati qui si avvertono con i nigeriani, angolani e mozambicani che intravvedono in questo Paese qualcosa a cui aggrapparsi per migliorare le loro condizioni economiche. Il Sudafrica si differenzia per sviluppo economico da tutti gli altri Stati africani. Ognuno di voi pensi alle ragioni. Io la mia c’e’ l’ho. Il valore della vita ed anche il suo senso qui hanno un significato diverso. Per 500 rand ( euro) si puo’ trovare un disperato che diventa killer. Le pistole vengono affittate e dopo l’uso, riconsegnate. Ho trovato una differenza tra Cape Town e il Gauteng. Sono sensazioni, ma la bella villa di Carlo non aveva cancellate filo spinato allarmi servizi privati di protezione. Nell’area di Johannesburg le zone residenziali sono bunker con guardiani notturni in piccole garitte, vigilantes armati, triple porte di ferro prima dell’accesso. Riva e’ lecchese. E’ arrivato in queste terre nel 1958 a soli 22 anni perche’ in Italia non aveva prospettive di lavoro. Non ama la politica e si’ invece Gianni Rivera. Ha lavorato come operaio e trovato tante soddisfazioni professionali. Non ama la politica ed ha sposato una inglese di Sheffild da cui ha avuto due figli, entrambi laureati. E’ stato tredici volte in Italia dove a Lecco vive una sorella. Quattro anni fa lo sconvolgente divorzio e la sua decisione di vivere a Casa Serena. ” Non sapevo fare nulla nella casa e mi sentivo solo”. Mi parla anche in dialetto, per riaffermare i suoi vincoli mai dimenticati. Mi chiede un favore: ” Quando torni in Italia puoi andare a salutare mia sorella e dirle che sto bene??” E’ accorato il suo appello, con delle velate lacrime. Non posso che spendere il mio massimo giuramento: lo faro’ sicuramente.
Pietro Beretta ha 90 anni, ma davvero e’ un arzillo vecchietto. Cappellino Ferrari, sportivo, occhiali con montatura moderna. E’ di Bergamo ed e’ venuto in queste terre nel ’48 salpando con la nave Africa da Venezia per lavorare per una ditta italiana che operava nel campo edilizio, dove e’ rimasto per decenni. E’ ritornato anche in Italia per gestire un camping a Dervio con suo fratello, ma con la morte della moglie ha deciso di tornare a Johannesburg dove vive una figlia avuta fuori dal matrimonio. Ha dodici pronipoti. E’ stato allenatore di calcio e mi riafferma che il rugby e’ giocato dai bianchi ed il soccer prevalentemente dai neri, povera Bafana Bafana.
Affiora qualche delusione ed una speranza di ritorno in Italia. Giovanni Pignatelli e’ juventino sfegatato. Mi parla di Boniperti detto Marisa, Sivori e Roberto Baggio. Viene dalla Sila, da San Giovanni in Fiore, povera ma bella. Ha lavorato dal ’75, anno del suo arrivo, come piastrellista. Del Sudafrica mi piace il clima e gli spazi enormi. Cape Town e’ bella ma ormai mi sono abituato qui. Non sento la mancanza del mare. Sono vedovo da tre anni ed ho sofferto molto per questo evento. E’ informatissimo dell’Italia e della Juve. Gli chiedo come puo’ sapere tutte le cose in modo cosi’ dettagliato. “Ho internet a casa”.
Davvero il mondo e’ cambiato… Mi giungono delle notizie da Cabiate su mia figlia ventisettenne. Ha avuto bisogno di riposo forzato dopo l’avventura sudafricana. Lorena, ti ricordi le 15 ore di sonno continuate dopo aver girovagato per la Puglia cambiando 10 alberghi in 11 giorni??? Con me smart or down. Lol.
Domani vado a vedere l’Argentina a Soccer City e poi il Brasile a Ellis Park. Stupendo. E con la benedetta casacca del Volunteer posso probabilmente entrare gratuitamente. Vi raccontero’.
Bye.