Il campionato mondiale di calcio in Sud Africa e non solo; di Maurizio Cazzaniga 4 puntata
Grigia ancora Cape Town quando la lasciamo per Port Elisabeth. La mitica Garden Route è dolce. Up and down. Colline verdi. Allevamenti di struzzi. Foreste. Infiniti pianori di vivo colore. Ed all’improvviso si getta nell’oceano con un tuffo spettacolare a Mossel Bay. Maddalena guida con sicurezza e quando prendo il volante mi rimprovera per la mia guida alla Nuvolari, responsabile gioventù!! La sosta ai wimpy, sorta di Mc Donalds vicini ai distributori, sono ormai una costante per chi deve sostenere ritmi di 700 km. giornalieri. I nostri stomaci ancora non si ribellano.L’hotel King Edward, raggiunto nelle prime ore della sera, è bianco con una architettura classica degli hotel anni trenta. Qui l’ora blu argentina non esiste. La notte piomba di colpo ed è nera.Il portiere del quattro stelle veste un abito scuro elegante di tre taglie superiori. Il prezzo con un semplice, no così no, viene dimezzato all’istante come last minute. Poi, dopo il solito lungo stancante inutile non decisionista confabulare, che questi sudafricani hanno come difetto nazionale ed e’ insopportabile, 80 euro per due camere doppie al costo di una perché non ne hanno una disponibile con letti separati. Questa Africa ha rubato l’arte dell’arrangiarsi a noi italiani, superandoci alla grande. La sera andiamo al venue ( luogo d’incontro) organizzato dalla FIFA con un autobus che gira per la città raccogliendo, al suono di musica sparata a 10000 decibel, chi vuole condividere su uno schermo gigante le gioie o le delusioni della propria nazionale. Sono stati organizzati in tutte le città importanti con una partecipazione popolare davvero incredibile.
Saliamo sul bus tipo londinese ed alla prima fermata salgono alcune donne che iniziano a ballare al suono dell’ormai inno ufficiale di questi Mondiali. La canzonie si chiama Waving Flag cantata da Knaan, residente in Canada ma originario della Somalia. La senti ovunque, anche perche’ accompagna la pubblicita’ di una nota bevanda. Le donne, tutte nere, non sono giovani. Le osserviamo estasiati. Ballano come se fossero ad una festa tribale, con mosse ancestrali. Movimento di mani e del corpo, armonia tramandata da secoli. Sono grasse, alcune sdentate. Bellissime da vedersi. Il venue è in uno stadio di rugby: entrata super controllata e gratuita. Bafana Bafana perde tre a zero. Le vuvuzela, in zulu soffio di rumore, in antichita’ non di plastica ma di corno di kudu antilope ed usate per richiamo, non smettono un secondo. Il panino che compriamo non lo possiamo mangiare. C’è una salsina di rosso vivo sulla salsiccia che è da vomito e questa volta il nostro stomaco non reggerebbe l’ennesimo assalto.
Anche con la sconfitta il clima festoso non si placa. Il Sudafrica partecipa tutto unito a questa World Cup. La festa è esserci. L’importante è partecipare. Questa è la filosofia che ovunque si respira e che giunge da una cultura forse incomprensibile per noi occidentali che guardiamo ormai a De Cubertain come ad un cretino. Io sono uno di questi. La Juve che perde mi manda in depressione, e quest’anno, beh, meglio lasciar perdere. Popolo gioviale anche se certe facce potrebbero far pensare diversamente. Miei stereotipi difficili da superare, anche se sapendo di averli è già qualcosa di positivo. Si riparte con tranquillità a mezza mattina. Il portiere impacciato sorride a 102 denti salutandoci, accanto a Maddalena per la foto di rito sul portone dell’ingresso. Natal, terra di zulu. Pochissimi rappresentanti della razza bianca nei paesini che attraversiamo. Mercati. Case con colore celestino sparse sulle colline. Strada difficile tra il Lesotho e l’oceano. Il ritmo dei viaggiatori cala e ci fermiamo a Kokstad, 1200 metri di altitudine, in un B & B gestito da well educated English. Usciamo per mangiare, tutto chiuso. Entro in una banca per ritirare soldi dal cash con la mia card Visa oro, E… Porca quella puttana, mi ritira la tessera.
Mandarini, una banana divisa millimetricamente in due da complici compagni. Un kit kat. Patatine al sapore di formaggio che Maddalena mi insegna ad assaporare con gusto. “Solo in Italia non ci sono” mi dice con futuro dispiacere. Io invece incazzato nero, potere del black power, penso alla mia carta di credito. La mattina mi reco subito alla banca. La macchina ha i vetri ghiacciati per i tre gradi della notte. Sono le 8 e leggo: apertura alle 9. Da pensionato bancario sono totalmente sicuro che dovrò gironzolare un’ora nel rien de rien per aspettare l’apertura. Ma, I love Africa, la direttrice dopo una cortese richiesta entra nel retro e mi ridà la tessera immediatamente, accompagnandomi al cash per vedere se funziona. Naturalmente il denaro, con il miracolo della santa presente, esce senza alcun problema. Si riparte. Passiamo Durban, terra di immigrazione indiana, senza fermarci. A sera tarda entriamo nello Swaziland. Foresters Arms Hotel chi vi passa ci vada ( grazie Ettore Grancini dell’indicazione!!). Una camera doppia a soli 95 Euro con cena e breakfast per due.
Cibo come si deve. Maddalena è rilassata e da buongustaia ordina un bicchiere di vino bianco, alla salute (faccia, lol) di sua madre. In una stanzetta un camino arde legna scoppiettante. Gli ospiti inglesi assistono al secondo pareggio di Capello con un mutismo espressivo. Ma il silenzio regna assoluto, non solo calcisticamente parlando, in questa oasi di pace nel mezzo della foresta a 25 km.da Mbabane, la capitale. La mattina con tranquillità partiamo verso il Kruger Park, vicino a Nelspruit, dove gli azzurri affronteranno quei magnifici allevatori di bestiame della Nuova Zelanda, dopo aver salutato la simpatica proprietaria del lodge per la quale avverto un immediato feeling. La gente dello Swaziland sorride e ti saluta, vedendoti straniero.
A Pigg Peak si gioca una ufficiale partita di calcio ai cigli della strada. Ci fermiamo. Parlo con l’allenatore delle camicette rosse che subito non perde l’occasione del mio interesse e mi dice che ha problemi per comprare le scarpe ai giocatori. I need a sponsor. Mi invita alla sua casa. “Ma sei al 20 del primo tempo, come puoi lasciare la tua squadra adesso??”. Benedetta Africa della non razionalita’!!! Il viaggio si riempie anche di noi. Chiacchieriamo. L’auto ha il potere di creare un microcosmo intoccabile. Viaggiatori del Sudafrica e della nostra vita. Padre e figlia on the road con il bagaglio di speranze fatti esperienze ricordi famiglia lutti persone luoghi lavoro. Recuperare il filo indistruttibile che le impossibilità del quotidiano ci fanno alle volte perdere.
Uthando in zulu. Ndebele, in Xhosa, la lingua di Nelson Mandela. Liefde in Afrikaans, la lingua dei boeri. Levato in Sotho. Love in English. Parole che dicono in italiano quello che provo per te, figlia mia: amore. La savana del Kruger è come mi aspettavo. Boscosa, bassa, ricca di vegetazione. Vediamo con la fortuna dei principianti, appena entrati, due dei famosi Big Five: un elefante ed un rinoceronte che ci snobbano tranquillamente. I soliti turisti per caso, ruminano. Casetta dove alloggeremo. Buio con mia paura di eventuali babbuini che solo se mi sfiorassero sarebbe un infarto miocardico istantaneo. I tramonti in Africa sono davvero come da reportage fotografici. Unici per via dell’asse terrestre rispetto al sole. Larghi larghi. Guardiamo anche le stelle. Vicine. Incombenti. Da toccare. Fumo mezza sigaretta lasciatami caritatevolmente.
Sveglia alle cinque il giorno successivo, incredibile ma vero per la famiglia Cazzaniga, per il safari. Armati sì, ma di professional camera. Sottozero in una jeep aperta con coperta non riparatrice. Messicani caciaroni. Due elefanti, tre giraffe, coccodrilli a volontà nel fiume. Una mandria di bufali che fanno due metri al record di dieci minuti, una frustrazione alla faccia dei miei ricordi western con i caw boys al galoppo per fermarli. Un tentativo di avvistamento di leone fallito. Impala dappertutto. Il ghepardo impossibile da vedersi perché quasi invisibile nel suo mimetizzarsi e nascondersi.
La discussione successiva è: abbiamo fatto bene a farlo o non farlo??? That’s the question. Shakespeare insinua. Nelspruit è famosa per la frutta. Non per la vittoria dell’Italia. Tappi alle orecchie dall’inizio alla fine. Incontri fantasmagorici con italiani australiani prima della partita ed invece casuale e simpatico con Fabio, cameriere di origine italiana che lavora nel bar di Johannesburg dove con due anziani ospiti di Casa Serena sono andato un paio di volte. Un palo di Montolivo sulla nostra traiettoria visiva. Aria effervescente. Io sempre scatenato per il mio intoccabile Marcello Primo, Re di Viareggio. Anche se i forzuti ragazzotti avversari ci obbligano ad un pareggio forse per loro immeritato.
Ritorno a Pretoria verso le 23. Andrea, figlio di Mario di Casa Serena, ci aspetta interessato ai nostri racconti nella sua bella casa dove vivro’ per i prossimi giorni. Jessy, il labrador, mi riconosce e scodinzola. Maddalena crolla dal sonno. Il viaggio è stato complessivamente di 4750 km. Io resisto e non demordo come al solito. Andrea, ex pilota di caccia nell’esercito sudafricano ed ora di aerei passeggeri, è persona troppo interessante e colta per non scambiarci le prime impressioni. Ma il Brasile che vince contro la Costa d’Avorio in replay non posso vederlo fino alla fine. Mi addormento di sasso. Domani, piccola mia, parti per l’Italia. Quello che abbiamo vissuto mi piacerebbe raccontarlo da nonno un giorno a tuo figlio. E’ qualcosa che ci appartiene e che è bello bello bello. Aspettami