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Il campionato mondiale di calcio in Sud Africa e non solo; di Maurizio Cazzaniga 4 puntata

Maurizio Cazzaniga inviato speciale dei Lombardi nel Mondo ci racconta il suo mondiale impegnato come volontario  nella struttura organizzativa . (4° puntata )
30 giugno 2010 ore 19.02
Airbus A380 Air France. 528 posti, mach 85.
Sono seduto alla fila 92, corridoio. Piano superiore. Scrivo con penna su agenda.

Lascio il Sudafrica.

World Cup: ho visto Argentina-Messico a Soccer City, il più bello stadio che abbia mai visto. Ho approfondito. La sua forma richiama il calabash, tipica pentola usata in tutta l’Africa per cuocere ogni tipo di cibo. Il momento in cui sono entrato prima della partita sarà per sempre indimenticabile. Illuminato nelle prime ore della sera. Attorniato dalla simpatia delle tifoserie che si mischiavano in allegria. Balli negli stand, colorito folklore sudamericano. E l’interno impressionante con i suoi 82000 sedili color arancione. Da paragonare alle più ardite costruzioni dell’uomo. Splendente, immenso. Come la squadra di Maradona con il suo 3 a 1 finale, con l’arbitro Rosetti complice di un fuorigioco di tre metri non segnalato sul primo gol.
Il giorno successivo ritorno a Ellis Park, il luogo dove il dramma italiano ha trovato la sua logica e forse annunciata conclusione. Il Brasile balla la samba con il Cile. Giocatori arrivati da Marte. 3 a 0 e canti di adieu. Assisto al match tra i tifosi brasiliani. Non amano Dunga per il suo difensivismo, che invece io reputo tatticamente perfetto. Si inebriano per le discese di Kaka. Detestano le vuvuzela. Le furie rosse della Spagna le ho viste al Loftus di Pretoria. Squadra che gioca a memoria e con grandi potenzialità. Il primo gol è una papera colossale del portiere cileno. Sette anni lavorativi a Madrid mi fanno sentire molto vicino a questo Paese che vorrei vedere in una finale con la mia amata Argentina e …. che vinca il migliore!!!
Sicurezza: dopo la partita del Brasile esco dallo stadio e, dopo una veloce sosta mangereccia, mi dirigo verso Bedfordview, dove c’è Casa Serena. Vado piano perchè la strada è poco illuminata e non capisco mai se sono sulla giusta carreggiata, west or east,  per svoltare ed entrare nella piccola laterale. Mi accorgo che una macchina mi segue. Sì, mi segue. Destra, destra. Tunnel, tunnel. Ancora destra, destra. Ahi, ahi, mi dico. Ci siamo. Accelero, la perdo e poi riappaiono i fari. Vedo le luci dell’edificio a dieci piani che è il mio punto di riferimento, proprio di fronte al Club Italiano. Svolto veloce. Dopo un piccolo tentennamento l’altra auto procede dritto. Respiro di sollievo. Ma non è un caso isolato. Mi dicono che alcuni delinquenti usano dei finti lampeggianti per fermarti e poi derubarti. La Polizia è presente dappertutto, ma la criminalità trova sempre i suoi spazi per agire. Io ho avuto solo questo episodio da raccontarvi ma posso assicurarvi che nessuna donna al volante gira di notte da sola nell’area di Johannesburg – Pretoria, sarebbe sicuramente seguita. Non ci credevo quando me lo raccontavano i primi giorni in Sudafrica, ma adesso ci posso giurare anch’io.
Volontari e Azzurri: chiaramente sono andato a trovare gli amici del Volunteer Center di Pretoria per salutarli. Nelson, che mi chiama sempre Spaghetti Spaghetti, mi abbraccia forte. Abbiamo condiviso un gigantesco T bone, must di carne, e tante gustose risate sulle nostre imitazione del grasso capo della Delegazione FIFA, suo boss. Mi hanno chiesto poco impegno. Eravamo 5 europei e 1295 ragazzi neri. Quando ho detto che avrei preferito Soccer City, dove l’aria è più internazionale e centro nevralgico della World Cup, mi hanno subito rimproverato. ” Ma Spaghetti, qui con noi hai potuto capire di più l’Africa”. Vero. La loro pazienza per le code per la distribuzione dei pasti. I termpi lenti. La gioia dell’evento. Una preoccupazione composta per il loro personale futuro. Ho conosciuto la filosofia Ubuntu che è alla base dei comportamenti africani e che mi sono stati sapientemente indicati dal bianco italo-sudafricano Andrea nelle interessanti discussioni che abbiamo intavolato e che hanno sempre soddisfatto la mia famelica curiosità. “Senza questi riferimenti culturali non puoi capire l’Africa nera” mi diceva Andrea. Ed anche mi puntualizzava di far sapere alle Istituzioni Italiane di essere più presenti nell’aiuto concreto a quei  giovani di origine italiana che non vogliono recidere il legame con la nostra penisola, con una leggera punta polemica. Non deludiamoli.

19.45 Decollo.
Questo pomeriggio ho incontrato Fabio e Gaspare, due volontari italiani che mi parlano della loro esperienza. Per il primo, che ho conosciuto all’Ambasciata sudafricana a Roma nel mese di Aprile,  rapporti difficili con il management FIFA e splendido con i volontari locali. ” Giocavamo spesso a calcio e quando stavo per segnare un gol mi dicevano di non farlo”. Bafana Bafana.!!!! “Voglio restare  per un altro mese. Qui  mi entusiamo di tutto e le vacanze pugliesi sono monotone” aggiunge convinto e raffreddato.Vivono in una bella villetta alla periferia di Johannesburg, ospiti paganti per 10 euro al giorno. Sono senza mezzi di trasporto privati e questo è un limite insopportabile in una città dove senza auto non puoi comprare neppure un uovo, che si trova appunto nel  più vicino shopping center. Video con giapponesi a cui fanno gridare parole in italiano censurabili, pessimo giudizio sul cibo per i volontari, ti siedi senza problemi ai tavoli dei bar dove c’è già gente, i neri ci osservano con curiosità ma non male, i nostri padroni di casa guardano tutte le partite di calcio che vengono trasmesse in TV 24 ore su 24 ed esultano a qualsiasi gol di qualsiasi squadra. Sono stato seguito e fermato di notte quando avevo la macchina di un amico ma ho capito la malparata dei finti vigilantes e sono scappato in modo rocambolesco. Capperoni, anche lui!!! L’Italia è vista molto bene per lo stile eleganza Ferrari moda. “Vorrei organizzare la partenza  domani per il Krugher e Durban” mi dice ansioso il siciliano Gaspare. Mappe, indicazioni, nome di hotels in Swaziland. Ciao, splendidi ragazzi italiani in giro per il mondo. Fatevi onore, anche con le girls, mi raccomando!!! Lol

La mia Italia ferita calcisticamente la penso, dopo il dramma, con dolcezza. Impaurita e sconfitta ha bisogno di attenzione e comprensione. Certo, non dimentico la figuraccia. Ma l’urlo sul rigore di Grosso, con abbassamneto della voce per due giorni,  è troppo recente per essere messo in soffitta. Ma tu ritorni in Italia, mi dicono,  quando esprimo il mio stato d’animo. Noi restiamo qui a prenderci gli sberleffi. Mica tanto, ancora Bafana Bafana. Trasporti e camerieri: dolenti note del Sudafrica. Trasporti inesistenti. Solo centinaia di questi taxi da 8/10 posti usati solo dai neri. I passeggeri ai cigli delle strade indicano con le dita il luogo da raggiungere. Indice, centro città; pollice, Sandton; tre, Soweto. Ed io, ridacchiando: “E se usi il medio???”. Il parco auto è eccellente, europeo. Nessuna macchina in panne come invece molto frequente  nella mia querida Argentina. Aceituna docet. I camerieri: specchio o specchio deformato del Paese. In totale prevalenza neri. Pasticcioni, ritardatari, casinisti, senza professionalità. Ho osservato le performance di uno di questi in una delle più splendide catene di pasticcerie, Fournos. Definirlo attore da tappeto rosso hollywoodiano è il minimo. Stravaganze irritanti. Risate e pacche con i colleghi, giocherelli con le scatolette di marmellate, lettura di giornale, passi di paso doble inaspettati, bevuta di acqua a canna. Adesso ci manca che metta le dita nel naso ed il gioco è fatto, dico a Nelson che condivide con me una splendida apple pie.

Ore 6.05 Parigi
Dopo un bel sonno riprendo a prendere appunti sui recenti ed ultimi ricordi. Cooperazione Internazionale: il mio impegno come Presidente dell’Associazione di Volontariato “Punto a Capo”, che opera nell’ambito degli aiuti umanitari ai Paesi in via di sviluppo, ha trovato facile spazio con l’uscita dell’Italia. Infatti se fosse arrivata prima nel suo girone avrebbe giocato a Pretoria, boccaccia mia statte zitta!! Questo mi ha però permesso di passare un intero pomeriggio con tre ragazzi del Ruanda che studiano a Johannesburg. Sono di etnia tutsi e nel ’94 molti di loro sono stati massacrati nella nota lotta fratricida con gli Hutu. Non entro nel merito delle responsabilità di quel massacro che ha fatto 800 mila morti su 9 milioni di abitanti,  anche se qualche nostro Paese confinante (!) potrebbe aver avuto qualche ruolo, magari solo quello di far finta di niente.
Tre studenti in ingegneria, due con il proprio padre ucciso. Lontani dal loro Paese per paura e per studiare dove ne hanno possibilità. Per costruirsi un futuro. Non hanno mezzi di sostentamento e solo l’assistenza della ” Student Associacion in South Africa” ha loro permesso di proseguire gli studi. Ho promesso loro di impegnarmi per un aiuto concreto. Spero che anche voi mi seguiate in questo nuovo challenge. Nel pomeriggio siamo entrati assieme in auto  nella township di Alexandra. Arnaud alla guida, al suo fianco Jannick. Io e Rugiero nei sedili posteriori. Le strade sono un continuo supermercato all’aperto per chilometri, gestito prevalentemente da donne, con dei tavolini bassi dove viene esposta ogni tipo do merce. Di tutto. Anche le viscere degli animali, of course…. Case basse ed alcune in muratura. Gente tutta di pelle nera. Uomini in crocchi che chiaccherano, aspettano, discutono, ci guardano. Vivono in questo slum 200 mila persone. Disoccupazione al 60 %. Aids al 20%. Il calcio non mi fa dimenticare queste realtà che restano uno dei miei principali “pensieri dominanti” in questa tappa della mia vita.

Mal d’Africa: su di me non ha avuto effetto. Sento invece il desiderio della mia casa famiglia risotto alla milanese Lombardia. Soprattutto per camminare
nelle isole pedonali di Milano, Como o sulla passeggiata di Viareggio. Anche senza le jacaranda di Pretoria che ho visto purtroppo senza il loro vestito blu. Non mi mancherà per niente Johannesburg, autostrade e shopping center. Il pressapochismo. La mancanza di concisione (per indicarti una strada è come iniziasse una favola) che i neri hanno trasmesso ai bianchi. L’automatico tentativo di approfittarsi. La chiusura mentale degli afrikaaners che ha sempre la sua brace attiva pronta a riattivarsi. Mi mancheranno alcuni sorrisi accecanti su pelle nera. La loro spontaneità. In alcuni casi la loro concezione del tempo. La disponibilità. Avvertirò da lontano il calore della splendida comunità italiana con Casa Serena ed il Club italiano, la genuinità di Carlo Bravetti, le canzoni cover italiche del CD di Riva mentre andavamo a prendere il caffè. Questi italiani ci fanno sentire l’Italia, come molte volte dimentichiamo, la nostra Patria, anche con i suoi cento comuni che sono la nostra diversità nell’unità.I nostri emigranti ci insegnano ad amare l’Italia.

Potrò solo studiare sui libri la vita di un grande uomo che è Nelson Mandela e sarò obbligato a vivere invece le meschinità della nostra attuale classe politica. Il periodo storico recentemente vissuto dal Sudafrica è un insegnamento alla tolleranza ed alla convivenza pacifica. Ma soprattutto dovrò definitivamente stampare assumere inglobare dentro i miei cromosomi gli open space che mi hanno trafitto con la loro bellezza. Meravigliosi nella loro essenza. Unici. Come diamante è stato viverli con te, figlia mia.
Sono le 8.45 e l’aereo semivuoto atterra a Linate. Milano.
Lombardia, I love you.

 

– Pretoria 26.6.2010 Tre giorni fa mia figlia Maddalena e’ partita per l’Italia. Nell’ultima mattinata abbiamo visitato assieme la casa/museo a Soweto dove Nelson Mandela ha abitato nel primo anno della sua libertà nel 1990 dopo ventisei anni di carcere a Robben Island. Questo quartiere è stato creato dal regime dell’aparthaid nel 1948 per trasferirvi migliaia di persone solo perché avevano la pelle nera, con drammi familiari e di vicinato. Nel 1976, con i suoi 23 studenti morti, e’ diventato il simbolo della rivolta contro il dissennato regime bianco. Ora luogo turistico con finta tribù africana che seminuda canta canzoni popolari africane. Qualche timido baretto. Bambini gioiosi nella strada che sorridono mentre altri, disturbati dal nostro passaggio, giocano a soccer. Ma non ci addentriamo piu’ di tanto. Dicono sia pericoloso.
L’aeroporto Tambo International: futurista ed immenso. Un caffè ed una gustosa cioccolata con due pezzi, come si dice a Viareggio.Un abbraccio ed i miei baciotti ripetuti. Ciao, piccola.Ritorno al centro dei Volunteers di Pretoria. Assisto per servizio e pertanto gratis a Usa-Algeria. Partita dai mille errori. Oratorio. Una yankee imbandierata e colorata strips and stars mi chiede: “Per chi tifi???“ Non ho il minimo dubbio: Usa. Scelta vincente. Non ho portato i tappi ed al Loftus il baccano delle vuvuzelas, ormai entrate nelle orecchie anche degli abitanti di Marte, sono simpatiche ma al finale insopportabili. Hanno uniformato il tifo. Non piu’ canti inglesi, popopopopopo italiano, uiiiiiii spagnoli, ritmi di samba carioca. Solo questo fastidioso prolungato rumore.
Come volontario ho diritto, oltre al vestiario ed ad un rimborso spese di 100 rand giornaliero (circa 10 euro) ad un pasto ed a due bibite. Il mio ruolo sarebbe quello di operare nell’area “Volunteer Management”. In pratica dovrei controllare una decina di volontari nelle loro funzioni, cosa che faccio con tale discrezione che sembro invisibile. La fila per il pranzo servita ai 1300 volontari di Pretoria è ben organizzata. Mi viene consegnata la onnipresente scatola di polistirolo che contiene dei fagioli in una strana salsa marroncina per niente invitante, uno spiedino di carne ed un purè che potrebbe essere utilizzato nell’edilizia per cementare i mattoni. Dopo la mezza sigaretta non volontariamente donatami al Krugher, ho comprato un pacchetto di Malboro Light e finito il rancio vorrei fumare. Mi accorgo che del centinaio di volontari seduti all’aperto nessuno fuma. Strano ma in Sudafrica solo una piccola parte della popolazione è tabacco dipendente. Altra osservazione confermata: pochissime moto per le strade e per le immense intricate numerose larghe autostrade nell’area Pretoria-Johannesburg. Grazie ancora GPS. Una volta che ti ho dimenticato, senza le tue preziose segnalazioni, ho girovagato 37 minuti per ritrovarmi al punto di partenza. Ti adoro, bellissima invenzione dell’uomo.
E siamo al giorno del dramma. Alla mattina vado all’Apartheid Museum. E’ interessantissimo e approfondisco le tematiche non accorgendomi che vi passo quattro ore. L’entrata è singolare: i neri da una parte ed i bianchi dall’altra, per poi confluire in un unico percorso. Screen a volontà con filmati originali, discorsi politici, scene di violenza. Desmond Tutu, Sisulu, Botha, De Klerk e naturalmente il mitico Madiba. C’e’ esposto anche uno stranissimo camion, il Casspir, grande come un tir, che veniva utilizzato per entrare nelle township durante le rivolte. Trasportava soldati, ben armato e prodotto interamente in Sudafrica. Poi un altro amore mi ha lasciato: la mia Nazionale azzurra. Luogo dell’eccidio, Ellis Park, dove si è svolta la storica partita degli Springboxs nel 1995, quando la Nazionale Sudafricana divenne Campione del Mondo, raccontata da Clint Eastwood nel sul ultimo film “Invictus”.
Per noi invece la disfatta, che è stato pensiero dominante per tutta la notte, con la palla che esce sull’ultimo tiro di Chiellini. Tralascio la cronaca. I presupposti non erano confortanti. Ma ritenevo che la nostra superiorità tecnica avrebbe prevalso. Non quando ho visto Gattuso in campo. 
Le adida, uccelli mai visti simili a grandi corvi, emettono uno strano stridio mentre nel giardino della bella casa di Andrea sto scrivendo col mio portatile, con un sole che di invernale non ha nulla. Scotta. Prendo gli appunti, presi sul retro del match schedule, che raccontano di storie di italiana emigrazione.
Filippo fa il volontario a Ellis Park. Parliamo con Massimo Caputi di “Quelli che il calcio”, casualmente in un bar accanto ad una stazione di servizio. Non lo conosce perché vede solo Rai International. “Ma ho fatto anche la Domenica Sportiva, aggiunge con un bel sorriso” il nostro schedino. Ha due occhi veramente affascinanti. Ritorniamo a Filippo: giocava bene a calcio come mediano, otto destro. Ha una faccia simpatica, parla un italiano perfetto. Ha 56 anni ed alla età di 6 anni si è trasferito con la famiglia da Avezzano ( Abruzzo) a Cairns in Australia. Il padre Duilio ha lavorato la terra e la canna da zucchero. Ha tre figlie femmine che non parlano italiano ed una moglie australiana. E’ ingegnere elettronico. “La mamma Giuseppina ha insegnato a tutta la famiglia l’arte della pasta” mi dice radiante. Riccardo, suo compagno come volontario a Ellis Park, è da 50 anni in Sud Africa e mi dice che la violenza lui a Johannesburg non l’avverte perché le bande di criminali o “prendono di mira quelli che hanno tanti soldi o quelli che non li hanno”. Ed invece penso sia un problema serio. Circa 43 omicidi giornalieri in Sudafrica.
Le difficilta’ legate ai crimini che noi abbiamo con i nuovi immigrati qui si avvertono con i nigeriani, angolani e mozambicani che intravvedono in questo Paese qualcosa a cui aggrapparsi per migliorare le loro condizioni economiche. Il Sudafrica si differenzia per sviluppo economico da tutti gli altri Stati africani. Ognuno di voi pensi alle ragioni. Io la mia c’e’ l’ho. Il valore della vita ed anche il suo senso qui hanno un significato diverso. Per 500 rand ( euro) si puo’ trovare un disperato che diventa killer. Le pistole vengono affittate e dopo l’uso, riconsegnate. Ho trovato una differenza tra Cape Town e il Gauteng. Sono sensazioni, ma la bella villa di Carlo non aveva cancellate filo spinato allarmi servizi privati di protezione. Nell’area di Johannesburg le zone residenziali sono bunker con guardiani notturni in piccole garitte, vigilantes armati, triple porte di ferro prima dell’accesso. Riva e’ lecchese. E’ arrivato in queste terre nel 1958 a soli 22 anni perche’ in Italia non aveva prospettive di lavoro. Non ama la politica e si’ invece Gianni Rivera. Ha lavorato come operaio e trovato tante soddisfazioni professionali. Non ama la politica ed ha sposato una inglese di Sheffild da cui ha avuto due figli, entrambi laureati. E’ stato tredici volte in Italia dove a Lecco vive una sorella. Quattro anni fa lo sconvolgente divorzio e la sua decisione di vivere a Casa Serena. ” Non sapevo fare nulla nella casa e mi sentivo solo”. Mi parla anche in dialetto, per riaffermare i suoi vincoli mai dimenticati. Mi chiede un favore: ” Quando torni in Italia puoi andare a salutare mia sorella e dirle che sto bene??” E’ accorato il suo appello, con delle velate lacrime. Non posso che spendere il mio massimo giuramento: lo faro’ sicuramente.
Pietro Beretta ha 90 anni, ma davvero e’ un arzillo vecchietto. Cappellino Ferrari, sportivo, occhiali con montatura moderna. E’ di Bergamo ed e’ venuto in queste terre nel ’48 salpando con la nave Africa da Venezia per lavorare per una ditta italiana che operava nel campo edilizio, dove e’ rimasto per decenni. E’ ritornato anche in Italia per gestire un camping a Dervio con suo fratello, ma con la morte della moglie ha deciso di tornare a Johannesburg dove vive una figlia avuta fuori dal matrimonio. Ha dodici pronipoti. E’ stato allenatore di calcio e mi riafferma che il rugby e’ giocato dai bianchi ed il soccer prevalentemente dai neri, povera Bafana Bafana.
Affiora qualche delusione ed una speranza di ritorno in Italia. Giovanni Pignatelli e’ juventino sfegatato. Mi parla di Boniperti detto Marisa, Sivori e Roberto Baggio. Viene dalla Sila, da San Giovanni in Fiore, povera ma bella. Ha lavorato dal ’75, anno del suo arrivo, come piastrellista. Del Sudafrica mi piace il clima e gli spazi enormi. Cape Town e’ bella ma ormai mi sono abituato qui. Non sento la mancanza del mare. Sono vedovo da tre anni ed ho sofferto molto per questo evento. E’ informatissimo dell’Italia e della Juve. Gli chiedo come puo’ sapere tutte le cose in modo cosi’ dettagliato. “Ho internet a casa”.
Davvero il mondo e’ cambiato… Mi giungono delle notizie da Cabiate su mia figlia ventisettenne. Ha avuto bisogno di riposo forzato dopo l’avventura sudafricana. Lorena, ti ricordi le 15 ore di sonno continuate dopo aver girovagato per la Puglia cambiando 10 alberghi in 11 giorni??? Con me smart or down. Lol.
Domani vado a vedere l’Argentina a Soccer City e poi il Brasile a Ellis Park. Stupendo. E con la benedetta casacca del Volunteer posso probabilmente entrare gratuitamente. Vi raccontero’.
Bye.

Grigia ancora Cape Town quando la lasciamo per Port Elisabeth. La mitica Garden Route è dolce. Up and down.  Colline verdi.  Allevamenti di struzzi. Foreste. Infiniti pianori di vivo colore. Ed all’improvviso si getta nell’oceano con un tuffo spettacolare a Mossel Bay. Maddalena guida con sicurezza e quando prendo il volante mi  rimprovera per la mia guida alla Nuvolari, responsabile gioventù!! La sosta ai wimpy, sorta di Mc Donalds vicini ai distributori, sono ormai una costante per chi deve sostenere ritmi di 700 km. giornalieri. I nostri stomaci ancora non si ribellano.L’hotel King Edward, raggiunto nelle prime ore della sera, è bianco con  una architettura classica degli hotel  anni trenta. Qui l’ora blu argentina non esiste. La notte piomba di colpo ed è nera.Il portiere del quattro stelle veste un abito scuro elegante di tre taglie superiori. Il prezzo con un semplice, no così no, viene dimezzato all’istante come last minute. Poi, dopo il solito lungo stancante inutile non decisionista confabulare, che questi sudafricani hanno come difetto nazionale ed e’ insopportabile, 80 euro per due camere doppie al costo di una perché non ne hanno una disponibile con letti separati. Questa Africa  ha rubato l’arte dell’arrangiarsi a noi italiani, superandoci alla grande.  La sera andiamo al venue ( luogo d’incontro) organizzato dalla FIFA con un autobus che gira per la città raccogliendo, al suono di musica sparata a 10000 decibel, chi vuole condividere su uno schermo gigante le gioie o le delusioni della propria nazionale. Sono stati organizzati in tutte le città importanti con una partecipazione popolare davvero incredibile.

Saliamo sul bus tipo londinese ed alla prima fermata salgono alcune donne che iniziano a ballare al suono dell’ormai inno ufficiale di questi Mondiali. La canzonie si chiama Waving Flag cantata da Knaan, residente in Canada ma originario della Somalia. La senti ovunque, anche perche’ accompagna la pubblicita’ di una nota bevanda. Le donne, tutte nere, non sono giovani. Le osserviamo estasiati. Ballano come se fossero ad una festa tribale, con mosse ancestrali. Movimento di mani e del corpo, armonia tramandata da secoli. Sono grasse, alcune sdentate. Bellissime da vedersi. Il venue è in uno stadio di rugby: entrata super controllata e gratuita.  Bafana Bafana perde tre a zero. Le vuvuzela, in zulu soffio di rumore,  in antichita’ non di plastica ma di corno di kudu antilope ed usate per richiamo, non smettono un secondo. Il panino che compriamo non lo possiamo mangiare. C’è una salsina  di rosso vivo sulla salsiccia che è da vomito e questa volta il nostro stomaco non reggerebbe l’ennesimo assalto.

Anche con la sconfitta  il clima festoso non si placa. Il Sudafrica partecipa tutto unito a questa World Cup. La festa è esserci. L’importante è partecipare. Questa è la filosofia che ovunque si respira e che giunge da una cultura forse incomprensibile per noi occidentali che guardiamo ormai a De Cubertain come ad un cretino. Io sono uno di questi. La Juve che perde mi manda in depressione, e quest’anno, beh, meglio lasciar perdere.  Popolo gioviale anche se certe facce potrebbero far pensare diversamente. Miei stereotipi difficili da superare, anche se sapendo di averli è già qualcosa di positivo. Si riparte con tranquillità a mezza mattina. Il portiere impacciato sorride a 102 denti salutandoci, accanto a Maddalena per la foto di rito sul portone dell’ingresso. Natal, terra di zulu. Pochissimi rappresentanti della razza bianca nei paesini che attraversiamo. Mercati. Case con colore celestino sparse sulle colline. Strada difficile tra il Lesotho e l’oceano. Il ritmo dei viaggiatori  cala e ci fermiamo a Kokstad, 1200 metri di altitudine, in un B & B gestito da well educated English. Usciamo per mangiare, tutto chiuso. Entro in una banca per ritirare soldi dal cash con la mia card Visa oro,  E… Porca quella puttana, mi ritira la tessera.

Mandarini, una banana divisa millimetricamente in due da complici compagni.  Un kit kat. Patatine al sapore di formaggio che Maddalena mi insegna ad assaporare con gusto. “Solo in Italia non ci sono” mi dice con futuro dispiacere. Io invece incazzato nero, potere del black power, penso alla mia carta di credito. La mattina mi reco subito alla banca. La macchina ha i vetri ghiacciati per i tre gradi della notte. Sono le 8 e leggo: apertura alle 9. Da pensionato bancario sono totalmente sicuro che dovrò gironzolare un’ora nel rien de rien per aspettare l’apertura. Ma, I love Africa, la direttrice dopo una cortese richiesta entra nel retro e mi ridà la tessera immediatamente, accompagnandomi al cash per vedere se funziona. Naturalmente il denaro, con il miracolo della santa presente, esce senza alcun problema. Si riparte. Passiamo Durban, terra di immigrazione indiana, senza fermarci. A sera tarda entriamo nello Swaziland. Foresters Arms Hotel chi vi passa ci vada ( grazie Ettore Grancini dell’indicazione!!). Una camera doppia a soli 95 Euro con cena e breakfast per due.

Cibo come si deve. Maddalena è rilassata e da buongustaia ordina un bicchiere di vino bianco, alla salute (faccia, lol) di sua madre. In una stanzetta un camino arde legna scoppiettante. Gli ospiti inglesi assistono al secondo pareggio di Capello con un mutismo espressivo. Ma il silenzio regna assoluto, non solo calcisticamente parlando, in questa oasi di pace nel mezzo della foresta a 25 km.da Mbabane, la capitale. La mattina con tranquillità partiamo verso il Kruger Park, vicino a Nelspruit, dove gli azzurri affronteranno quei magnifici allevatori di bestiame  della Nuova Zelanda, dopo aver salutato la simpatica proprietaria del lodge per la quale avverto un immediato feeling. La gente dello Swaziland sorride e ti saluta, vedendoti straniero.

A Pigg Peak si gioca una ufficiale partita di calcio ai cigli della strada. Ci fermiamo. Parlo con l’allenatore delle camicette rosse che subito non perde l’occasione del mio interesse e mi dice che ha problemi per comprare le scarpe ai giocatori. I need a sponsor. Mi invita alla sua casa. “Ma sei al 20 del primo tempo, come puoi lasciare la tua squadra adesso??”. Benedetta Africa della non razionalita’!!! Il viaggio si riempie anche di noi. Chiacchieriamo. L’auto ha il potere di creare un microcosmo intoccabile. Viaggiatori del Sudafrica e della nostra vita. Padre e figlia on the road con il bagaglio di speranze fatti esperienze ricordi famiglia lutti persone luoghi lavoro. Recuperare il filo indistruttibile che le impossibilità del quotidiano ci fanno alle volte perdere.

Uthando in zulu. Ndebele, in Xhosa, la lingua di Nelson Mandela. Liefde in Afrikaans, la lingua dei boeri. Levato in Sotho. Love in English. Parole che dicono in italiano quello che provo per te, figlia mia: amore. La savana del Kruger è come mi aspettavo. Boscosa, bassa, ricca di vegetazione. Vediamo con la fortuna dei principianti, appena entrati, due dei famosi Big Five: un elefante ed un rinoceronte che ci snobbano tranquillamente. I soliti turisti per caso, ruminano.  Casetta dove alloggeremo. Buio con mia  paura di eventuali babbuini che solo se mi sfiorassero  sarebbe un infarto miocardico istantaneo. I tramonti in Africa sono davvero come da reportage fotografici. Unici per via dell’asse terrestre rispetto al sole. Larghi larghi. Guardiamo anche le stelle. Vicine. Incombenti. Da toccare. Fumo mezza sigaretta lasciatami caritatevolmente.

Sveglia alle cinque il giorno successivo, incredibile ma vero per la famiglia Cazzaniga, per il safari. Armati sì, ma di professional camera. Sottozero in una jeep aperta con coperta non riparatrice. Messicani caciaroni. Due elefanti, tre giraffe, coccodrilli a volontà nel fiume. Una mandria di bufali che fanno due metri al record di dieci minuti, una frustrazione alla faccia dei miei ricordi western con i caw boys al galoppo per fermarli. Un tentativo di avvistamento di leone fallito. Impala dappertutto. Il ghepardo impossibile da vedersi perché quasi invisibile nel suo mimetizzarsi e nascondersi.

La  discussione successiva è: abbiamo fatto bene a farlo o non farlo??? That’s the question. Shakespeare insinua. Nelspruit è famosa per la frutta. Non per la vittoria dell’Italia. Tappi alle orecchie dall’inizio alla fine. Incontri fantasmagorici con italiani australiani prima della partita ed invece casuale e simpatico con Fabio, cameriere di origine italiana che lavora nel bar di Johannesburg dove con due anziani ospiti  di Casa Serena sono andato un paio di volte. Un palo di Montolivo sulla nostra traiettoria visiva. Aria effervescente. Io sempre scatenato per il mio intoccabile Marcello Primo, Re di Viareggio. Anche se i forzuti ragazzotti avversari ci obbligano ad un pareggio forse per loro immeritato.

Ritorno a Pretoria verso le 23. Andrea, figlio di Mario di Casa Serena, ci aspetta interessato ai nostri racconti nella sua bella casa dove vivro’ per i prossimi giorni. Jessy, il labrador, mi riconosce e scodinzola. Maddalena crolla dal sonno. Il viaggio è stato complessivamente di 4750 km. Io resisto e non demordo come al solito. Andrea, ex pilota di caccia nell’esercito sudafricano ed ora di aerei passeggeri, è persona troppo interessante e colta per non scambiarci le prime impressioni. Ma il Brasile che vince contro la Costa d’Avorio in replay non posso vederlo fino alla fine. Mi addormento di sasso. Domani, piccola mia, parti per l’Italia. Quello che abbiamo vissuto mi piacerebbe raccontarlo da nonno un giorno a tuo figlio. E’ qualcosa che ci appartiene e che è bello bello bello.  Aspettami

Arrivo in SudAfrica (1° puntata)
Quello che i primi boeri della Compagnie delle Indie olandesi effettuavano in quattro mesi di veliero nella metà del 1600, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza per raggiungere Amsterdam provenienti dall’Oriente, ora si compie in dieci ore. All’aeroporto un ancora sconosciuto Paolo Belfiore mi riceve con la copia ingigantita di una mia foto che gli avevo inviato tramite internet per riconoscermi, dopo aver conosciuto il fratello che vive a Forte dei Marmi. Sono ormai 50 anni che è in Sudafrica ma la sua pronuncia in italiano è senza alcuna inflessione, come conviene ad un buon Presidente dell’Associazione Toscani nel Mondo. Manager in una grande impresa che cura la lavorazione ed il commercio di marmi. Parla riflessivo tra nuvole di sigarette guidando la sua BMW che denota agiatezza.

Cielo frizzante, senza nuvole. Temperatura per me estiva di questo inverno nel Gauteng, la regione più popolosa (circa 9 milioni di abitanti) e industriale del Sudafrica. Le autostrade sono con lavori in corso dappertutto. Alcuni ritardi per la costruzione di infrastrutture in vista dei Mondiali di calcio. Ma si denota uno sforzo generale. Bandiere di tutte le nazioni sventolanti per chilometri invitano all’allegria ed alla pace, soprattutto la seconda non scontata in questo lembo di mondo. Arriviamo a Casa Serena dove decido di alloggiare. E’ una casa di riposo per una settantina di anziani italiani che hanno passato gran parte della loro vita in questo Paese e gestita da un Comitato che fa riferimento al Comites. Hanno delle camere a disposizione per eventuali italiani di passaggio. Mi sembra di non avere lasciato la mia Patria, sentendo ovunque la mia lingua. Mario Serra, il direttore italiano qui residente da 30 anni, è attivo disponibile organizzato. Sembra un lombardo con venature austro-ungariche ed invece è romano de Roma. Pranziamo con spaghetti, of course.
La sera partecipo ad una rumorosa festa in vista dei mondiali con 350 commensali al Club degli italiani che si trova di fronte a Casa Serena. Antipasto, lasagne, pessima torta, inno sudafricano e italiano nell’ordine, magliette azzurre e giallo oro verde dei “Bafana Bafana” ( come è definita nella lingua zulu la nazionale di calcio sudafricana, tradotto “Ragazzi Ragazzi”). Folclore calcistico e vuvuzuela, la ormai famosa trombetta che è entrata prepotentemente nella recente tradizione “rumoristica” locale (anticamente si usavano le corna dei bufali) e che l’anno scorso durante la Confederation Cup mi ha solleticato azioni violente ai danni del mio povero innocente televisore. Inizio a parlare con alcuni partecipanti alla festa e già mi accorgo della particolarità di questa comunità, poi confermata nei giorni seguenti con incontri interessanti ed interviste che vi racconterò nel prossimo e-mail. L’immigrazione è stata massiccia dal 1950 e completamente diversa da quella verso l’Argentina cominciata alla fine del 1800. Qui sono arrivati tecnici specializzati, gente che in Italia ha avuto contratti per lavorare in questo Paese e che poi hanno deciso di rimanere. Imprenditori. Innamorati del Paese arcobaleno che hanno venduto tutto e si sono trasferiti qui definitivamente. Poche persone arrivate con catene di solidarietà familiare che chiamano anello dopo anello e che rientrano nei canoni della normale emigrazione.

Domenica: mi presento al punto di incontro per i Volontari della FIFA a Pretoria, città a 45 km. da Johannesburg con cui divide una contiguità assoluta di paesaggio cittadino e autostrade che hanno fatto disperare negli anni scorsi gli automobilisti per l’allargamento delle corsie, leggasi Milano–Bergamo. Ora portano a noi viaggiatori incoscienti un beneficio che a chi non approfondisce potrebbe sembrare normale e non invece frutto di code chilometriche per mesi ed addirittura portatori di cambi di stili di vita. Città estesa, senza un centro o piazze. Con zone residenziali blindate, gli ormai immancabili shopping center e il Loftus Stadio che mi appare piccolo dall’alto di una collina. E’ qui che opererò. Mi danno la divisa e quando la indosso mi sento strano inadeguato buffo con la gigantesca scritta appiccicata ovunque : Volunteer – 2010 FIFA WORLD CUP SouthAfrica.

Helen, nera volontaria e professoressa di inglese, mi accompagna al Ticketing Center di un centro commerciale dove mi danno i biglietti acquistati per le prime tre partite dell’Italia. Tutto funziona alla perfezione. Come il primo T bone alto tre dita e digerito senza alcuna difficoltà. Gotta mia statte zitta!!!! In un campo di calcio dell’Università, adiacente al centro di raccolta dei volontari, centinaia di persone sono schierate per ricevere le prime indicazioni, la divisa, il pass. Guardo con interesse questi ragazzi, tutti di colore, che a differenza di quello che mi aspettavo sono vestiti con magliette e pantaloni dai colori cupi, neri, senza colori sgargianti. Sono stato influenzato dalle stravaganti camicie di Mandela??? Ritorno sicuro con Luisa, moglie di Mario, a Casa Serena per dormire.

Lunedì: non usuale per me, di mattina presto, visito Soccer City a Johannesburg, centro operativo della World Cup. Lo stadio è ovale con un colore marrone rossastro. Non so spiegarmi il perché ma mi da l’impressione di qualcosa di africano. Gli architetti se volevano centrare questo obbiettivo, con me ci sono riusciti. Centinaia di persone sono indaffarate. Ed anche piccole macchine di movimento terra per i ritardi nella sistemazione di piazzali non asfaltati antistanti lo stadio. Polvere. TV di tutto il mondo nel Broadcasting Center, con la RAI con più persone degli altri network al seguito e più spazio negli studi in allestimento. Sempre a distinguersi nel bene o nel male noi italiani!!!

.Johannesburg è senza servizi pubblici. Niente con la N maiuscola. Poche linee di bus, treni inesistenti, rari taxi, ovviamente nessuna metro. Raccatto un passaggio da Albert, anch’egli volontario addetto ai trasporti. 52 anni tre figli. Lavora normalmente per DHL. Zulu. Conosce le strade alla perfezione. Mi porta al Museo dell’Apartheid vicino a Soweto, famoso quartiere da dove sono iniziate le prime ribellioni all’apartheid. Closed, shit. Non mi demoralizzo. Ho già pronta l’alternativa. Andiamo al Museo Africa a Newtown, di cui avevo letto in Italia e aperto nel 1994 con le prime elezioni democratiche in un ex mercato stile anni ’50. Stessa espressione piu’ qualcuna in slang italico. Ma………..

“Vengo dall’Italia” dico ad custode all’entrata, ma senza convinzione di entrare perché so che è una impresa impossibile quando si parla di musei. Ed invece mi guarda tenero e mi dice: ” Don’t worry. Non disperarti, qui siamo in Africa, entra!!!” Non credevo alle mie orecchie ed ho pensato alla bellezza di un po’ di elasticità ed anarchia. Ed alla sua esaudita speranza di una mancia. Museo interessante e per me fuori dal già visto. Il nome pomposo è forse veritiero. E’ uno spaccato ben raffigurante la cultura africana. Da bellissime sculture ricavate da gigantesche radici di alberi a esili figure umane estratte dalle zanne di avorio. La storia delle miniere di oro e diamanti, le ere geologiche. Per arrivare sorprendentemente alla omosessualità, alla fotografia, al calcio ed a Gandhi che ha vissuto a Johannesburg e Durban per circa venti anni. Solo una minima presenza di Nelson Mandela, quasi un pudore a mostrarsi, ma figura politica di tale statura che resterà per sempre nella storia di questa parte di Africa e mito vivente per tutto il resto del mondo, con i suoi 92 anni, forse l’Alzheimer incipiente. Un esempio di tolleranza, di perdono e di lungimiranza politica.

La sera Stanton, parte nuova e ricca della città per incontrare Fabio, altro volontario di Lecce conosciuto a Roma all’Ambasciata sudafricana durante il colloquio di selezione quale volontario FIFA e Assumpta, che si interessa dei problemi di bambini abbandonati del Rwanda. Ritorno avventuroso e girovagante a notte fonda a Casa Serena con un taxista che non conosceva le strade e neppure il proprio nome. Accidenti a lui. Il pensiero dominante degli abitanti di Johannesburg, dopo ovviamente l’attualità del Mondiale, è la criminalità e la sicurezza. Ma ne riparleremo, troppo importante come problematica sociale e politica.
Per ora vi saluto ed ovviamente non posso che gridare: Forza Azzurri!!!

Maurizio Cazzaniga