Site icon Mantovani nel Mondo

DANIELE, un milanese indigente a Salvador da Bahia di Livio Bramante

Mi sveglio intorpidito con la sensazione di un volto deformato come se fosse di plastilina. Mi tocco la mascella come a ricomporla, ma il telefono si mette a strillare ed esige che mi svegli definitivamente. E’ Daniele che mi fissa un appuntamento davanti al Teatro Castro Alves, un’Istituzione per la Salvador intellettuale: gli eventi culturali più seri vi si svolgono inevitabilmente. A fissare l’ora sono io che debbo accompagnare mia figlia Carolina dall’insegnante di supporto alle due non distante dal teatro. Arrivo sul posto in orario e telefono a Daniele; mi chiede di fare il giro della piazza per andargli incontro; vado e lo aspetto davanti il Tropical Bahia Hotel, storico albergo di lusso della città dove questo smilzo ragazzo quarantenne dai capelli lunghi e con barba e pizzetto alla D’Artagnan,  arriva con l’aria innocente e sperduta che lo caratterizza. Pioviggina e perciò lo invito ad entrare in macchina e a parlarmi dei suoi problemi. Mi mostra una ferita cicatrizzata al piede che è stata all’origine delle ultime e più gravi difficoltà e mi sommerge con tutti gli accadimenti degli ultimi vent’anni. Decidiamo di fare qualche foto del luogo dove sta abitando, Gamboa de baixo (Gamboa Bassa) per meglio spiegare la situazione di difficoltà che si è trovato ad affrontare e le contraddizioni di una realtà di terribile degrado igienico sanitario, di estrema difficoltà per anziani e malati, ma al contempo di un forte fascino panoramico e sociale. Si è avvicinata l’ora in cui Carolina finisce le ripetizioni e perciò ci diamo appuntamento a casa sua per dare ordine e dettagli alla sua storia e  fare qualche foto esemplificativa. Piove ancora quando lo lascio andare a piedi ancora leggermente zoppicante.

Ad intervalli quasi regolari piove da settimane, a volte è una pioggia fine e snervante, a volte si tratta di acquazzoni veri e propri; in città si hanno notizie di sciagure ampiamente prevedibili per come sono lasciate costruire le case nei quartieri periferici, senza alcuna visione preventiva dei tecnici comunali, sui cigli di dirupi dove finiscono i rifiuti domestici e ingombranti, sopra terreni spesso di riporto spesso in completa assenza delle normali opere di urbanizzazione; in un mese 12 morti e centinaia di famiglie dalle case distrutte dai tetti sfondati o dallo smottamento dei terreni sottostanti. Più a nord, nel Maranhão, nel Cearà, nel Parà, a causa delle piene inusitate di quest’anno, sono milioni le persone che ancora sguazzano nel fango, centinaia di migliaia le famiglie disalloggiate che dormono in alloggi di fortuna vivendo un disagio inumano, per le strade inagibili, per le scuole da raggiungere in barca, per gli ospedali chiusi, mentre nell’estremo sud al confine con l’Argentina, nello stato di Rio Grande do Sul, non piove da mesi e la secca obbliga a razionare l’acqua e rovina le coltivazioni.

Fra una pioggia e l’altra riesco, quattro giorni dopo il primo abboccamento  a rivedere Daniele nel suo ambiente, una piccola favela, Gamboa de Baixo, abitata da circa 400 famiglie, situata giusto sotto l’area dei più ricchi di questa città. In alto, ad un centinaio di metri dalla casetta quasi sul mare che Daniele ha preso in affitto, si erge il palazzo dove abita la cantante oggi meglio pagata, Ivette Sangallo che scende a mare in ascensore percorre una trentina di metri sul molo e da una piattaforme elevabile con viti senza fine per le maree, accede al suo yacht privato per andare chissà dove. Daniele una volta l’ha ripreso sull’ascensore e da quel giorno i vetri sono stati oscurati con le dovute pellicole fumè. Aspetto il nostro sull’Avenida Contorno che “contorna” il primo tratto della Bahia de Todos os Santos congiungendo la città alta con “a Cidade Baixa” e “O Comercio”, cioè i quartieri residenziali della vecchia città con quello che una volta era la “dawn tawn” e il porto cittadino. Adesso tutto si è spostato a Pituba, un megaquartiere della nuova borghesia. La strada è di fatto il confine tra ricchi e poveri e dal lato dei poveri la sera diventa anche il punto di smercio del crack, questa droga dei poveri che manda in fumo i cervelli dei ragazzini poveri di Salvador e ne spiega l’aggressività con i turisti. Un bambino mi domanda una sigaretta e io gli do pochi centesimi; è tranquillo e se ne va contento.
 Guardo la bahia che si distende davanti a me, è bellissima, maestosa; davanti c’è Itaparica una bella isoletta che sembra l’altro lato della bahia, ma non è, perché la bahia è molto più grande, per contornarla ci vogliono centinaia di chilometri. Scendo fra i poveri e i derelitti della favela attraverso una scaletta quasi invisibile; hanno facce sorridenti, sono le otto del mattino e c’è chi sale per andare a lavorare e chi si gode un raro (per questi giorni) raggio di sole. Aspetto Daniele in un baretto con una ampia veranda da cui si gode una vista stupenda della bahia. Yemanjà (la dea del mare e la Madonna nel sincretismo religioso) protegge gli abitanti di quest’area tanto appetita dagli speculatori edilizi. Chiedo un cafezinho, ma non è ancora arrivato, mi accontento di un succo.

Daniele arriva con la faccia sorridente, si è ripreso dalle ultime vicissitudini, la seppur modesta solidarietà di qualche connazionale lo ha rimesso in pista, ha nuove speranze o nuove illusioni? Mi saluta e si siede a fare due chiacchiere. Poco dopo decidiamo di scendere a casa sua. Casa sua sono due stanzette ed una grande veranda in terreno battuto da dove si vede il solito magnifico paesaggio della baia e delle barche dei pescatori (storico mestiere degli abitanti della favela) ormeggiate a regolare distanza l’una dall’altra.

Mi siedo nel divanetto minuscolo e Daniele in un sedia alla mia sinistra ed inizia il suo racconto. “Il mio ultimo viaggio in Brasile è iniziato nel 2005 con il fine di iniziare una nuova vita”. Lo interrompo per domandargli se era già venuto prima e lui mi risponde: “La prima volta fu nell’88, già mi ero sposato, avevo avuto una storia molto complessa ed avevo deciso di venire a stare qui; poi con l’avvento del governo Collor che rovinò molte famiglie tornai in Italia con la famiglia brasiliana che nel frattempo avevo costruito, inseguendo il sogno di fare i soldi che mi permettessero di realizzare in Brasile qualcosa di serio. Questo sogno non sono però riuscito a realizzarlo perché, arrivato in Italia inseguendo il denaro, ho trascurato la famiglia che è finita allo sfascio. Viaggiavo molto, un mese qui, un mese lì, andavo a Parigi…. facevo il commerciante di opere d’arte con una impresa della famiglia che lavorava per un pittore molto importante, italiano, Treccani ed inoltre lavoravo come cameramen, la mia passione. In ogni caso non sono mai riuscito a mettere da parte quel capitale che era la premessa per tornare in Brasile perché quando si guadagnava bene veniva naturale pensare che occorresse sfruttare il momento per fare soldi; ma mettendo da parte i soldi non si investiva nell’impresa e quando poi veniva la crisi, si spendevano i soldi risparmiati e alla fine, quando mia moglie ha deciso la separazione per venire in Brasile ad abitare con la madre, sono entrato in depressione per questo abbandono che era anche dei due figli che avevo avuto con lei ed ho smesso di lavorare. Sai, mi domandavo il motivo dell’essere vivo, cosa era veramente importante per me…. Quando ho visto che stando in Italia, così non concludevo niente, ho abbandonato tutto, anche i soldi che avevo guadagnato perché lo avevo fatto nell’ambito della Società, per qualche tempo ho ripreso a fare l’operatore di camera ho racimolato qualche soldo finche non c’è l’ho fatto più a restare a Milano e quindi raccolti circa 5.000 euro, nel 2005 sono tornato definitivamente a Salvador.” A Salvador di questi soldi ne sono rimasti praticamente un quinto perché se ne sono andati per il viaggio, eccesso bagagli, qualche regalino ai miei figli. Con 1.000 euro perciò son ripartito facendo il professore di Italiano e qualche documentario con un operatore della RAI e sono riuscito così a tirarmi su. A tirarmi giù vi ha pensato invece una ragazza brasiliana che ho conosciuto quasi subito attraverso le lezioni d’italiano. Apparentemente sembrava una povera ragazza dell’interno rurale che veniva a cercare fortuna in città e voleva parlare italiano per trovarsi preparata in un eventuale viaggio in Italia dove pensava di andare. Tre anni dopo ho scoperto che niente era vero di tutto ciò, di fatto era una ragazza che prende i turisti, gli racconta una storiella, un’espertinha, cerca di farsi compiangere, – da o golpe da barriga, aggiungo io – che sarebbe farsi ingravidare e guadagnare così il contributo economico fisso del padre.

 

Io non ero uno sprovveduto, queste cose le sapevo, avevo anche studiato psicologia, fisiognomica, per passione, figurati se questa ragazza mi fa fesso, pensavo; invece no, è riuscita con uno stratagemma a dire che era in cinta, poi in realtà non era in cinta, ma io ho preso a non usare alcuna protezione e quindi è poi realmente è rimasta in cinta. Quando perciò ho visto la pancia crescere, ho assunto le mie responsabilità, sia di questa povera incosciente che non si rende conto del suo modo di vivere, che del bambino. Lei aveva un altro figlio da un primo matrimonio con un brasiliano ricco e insomma…. sono caduto in questa piccola trappola ed è nato un bambino bellissimo, che ho battezzato Matteo Jacopo e ho regolarmente registrato. Quindi ho portato avanti la famiglia, ho affittato una casa e lei alla sua maniera spendeva tutti i soldi che guadagnavo comprando frigoriferi nuovi e cose del genere. Io lasciavo fare in nome della sua gioventù per vedere se metteva la testa a posto pensando di curarla da questa sua visione per cui si può vivere soltanto sfruttando la vita degli altri, cercando di trasformarla in una persona indipendente. Invece un giorno, sono uscito alle 11 del mattino e quando sono tornato alle 16:30 a casa, non c’era più niente, aveva venduto tutto, svuotato il conto in banca ed è sparita con mio figlio. Dopodiché io sono rimasto senza una lira in un momento di crisi economica perché c’era il carnevale che si avvicinava, le scuole che chiudevano e quindi non avevo clienti per l’insegnamento; in ogni caso sono andato a correre dietro al bambino cercando aiuto con l’avvocatura pubblica, con la polizia civile, con la Polinter, cercando qualcuno che difendesse i miei diritti di padre, ma pare che qui se la madre porta via il bambino è tutto normale, non è un rapimento. – ma tu non sapevi dove erano finiti? – interloquisco io – Io lo sapevo, che era a casa della madre, ma ero senza una lira, lei era a 400 Km nell’interno dello Stato, a Jacobina, in mezzo alle montagne, all’inizio della chapada Diamantina, la catena montuosa dello Stato di Bahia al confine con quello di Minais Gerais. Ma tu, -dico io – d’accordo che era un momento di difficoltà, ma riuscivi a sbarcare il lunario, no? No, perché quei pochi lavori che trovavo non riuscivo neanche a portarli avanti preso com’ero a correre dietro alla giustizia per riavere il bambino. Dopo un mese e mezzo ho dovuto abbandonare la casa non potendo pagare l’affitto, ho chiesto qualche prestito ad un amico per tirare avanti, ma ero estremamente depresso. Comunque ho cercato disperatamente lavoro tramite gli uffici di collocamento locali, ma non sono riuscito perché il mio lavoro di giornalista, cameramen o commerciante di opere d’arte non sono lavori comuni ed io non avevo titoli per i lavori che l’Ufficio poteva rimediare. Per questo in quel marasma sono caduto qui, in questa favela bellissima. Ho chiesto ad un pescatore di aiutarmi, gli ho dato 100 Reais per affittarmi questa casa, chiedendogli aspettare un po’ che riuscissi a racimolare altri soldi per l’affitto. Senza soldi del tutto non avevo neanche da mangiare, la vicina mi domandava: ma tu non mangi? No, non ho fame rispondevo. Allora lei senza dire niente mi portava un piatto di riso e fagioli e io tiravo avanti. Un’altra volta era il pescatore che passava con il cesto di pesci e mi diceva: Allora come va? Eh, niente, ho il frigorifero vuoto (frigorifero che peraltro non funzionava).  E lui mi lasciava un paio di pesci da cucinare.- Ma non ho il gas, dicevo io. E tu vai dalla vicina a cucinarli – rispondeva lui. Perché qui c’è questa solidarietà fra poveri. Nessuno ti nega un piatto da mangiare, un panino col burro o qualcosa del genere; certo se questo avviene tutti i giorni la gente si stufa. A differenza dell’alta società o della classe media dove prima avevo vissuto, io qui in favela ho trovato dei fratelli, gente che mi ha dato da mangiare, che mio scopavano la casa quando sono stato male.” Daniele mi mostra la ferita al piede. – Cosa ti è successo al piede – domando io. Mi ero ferito al piede scivolando su una roccia e battuto la testa cadendo. Non era niente di grave, anche se la ferita era profonda. qualcosa che normalmente dopo tre, quattro giorni passa via. Invece questa volta senza capire perché le due ferite non si chiudevano; passano i giorni e la faccia mi si gonfia, si riempie di pus, mentre il piede peggiora sempre più impedendomi di andare a lavorare, di fare queste scale che ci separano dal mondo cosiddetto civile. Io sopravvivevo come ho detto per la solidarietà dei vicini. 

Sopravviene una necessità, dovevo portare alla scuola della Casa d’Italia di cui sono Direttore Culturale, i compiti d’Italiano di 5 dottori del San Raffaele. Questi documenti viene a consegnarmeli una pediatra che fa parte del gruppo, ma mi aspetta naturalmente all’entrata della favela. Sono costretto a fare la scala. Mi faccio sorreggere da un amico e raggiungo in cima la pediatra. Questa, non appena mi vede mi dice che non mi lascia tornare giù perché un’infezione di quel tipo poteva arrivare al cervello da un momento all’altro e mi porta al San Raffaele dove resto ricoverato per quattro giorni. L’infezione viene tamponata, il pus se ne va e mi dimettono con l’indicazione di continuare con l’antibiotico. A casa trovo una bella sorpresa, dei ladri sicuramente di fuori, mi avevano rubato la telecamera, il mio strumento di lavoro e la cassetta degli attrezzi che avevo portato da Milano. Tiro avanti, ma le ferite continuano a non rimarginarsi, il germe era più forte dell’antibiotico che prendevo. Non riesco a muovermi, non riesco a lavorare, il fisico annullato, lo spirito a pezzi, 45 giorni terribili. Mi richiama un giorno la pediatra per domandarmi come stavo. Io le spiego che tutto era peggio di prima e lei mi fa ricoverare di nuovo al san Raffaele. Sorretto da due amici rifaccio le scale, lei è la che mi aspetta, mi ficco in macchina e via all’Ospedale. Qui mi fanno tutti gli esami del sangue che sembrava a posto, ma scoprono che un batterio ben resistente si era annidato nel nervo del gomito e li si riproduceva abbassando le mie difese immunitarie ed impedendo dunque alle ferite di rimarginarsi. 15 antibiotici, antitrombotico, la cremina per il braccio, e dopo 20 giorni, l’8 gennaio, giorno del mio compleanno, esco dall’ospedale guarito, ma sempre senza una lira e senza lavoro. All’uscita incontro Massimo Bono, un amico che conoscevo da tempo che si occupava degli italiani indigenti all’estero che portava il figlioletto a fare dei controlli all’ospedale. E’ lui che per primo si è interessato al mio stato esistenziale e ad aiutarmi ad uscire da questo tunnel.” Ma tu che bazzicavi la casa d’Italia – dico io – non hai provato a rivolgerti al Console? Sinceramente no, – mi risponde Daniele – ero sfiduciato per i rapporti avuti con il Console precedente, una persona che si disinteressava assolutamente dei problemi degli italiani qui a Bahia. Per questa sfiducia antica non mi ero rivolto al Console di qua che fortunatamente era cambiato; con il Dr. Pisanu, ho parlato quando mi ha chiamato per comunicarmi la liberazione di un modesto ma molto benvenuto contributo finanziario del Consolato di Rio de Janeiro. Adesso si sta muovendo per aiutarmi a trovare un lavoro anche l’Associazione dei lombardi nel mondo, speriamo bene. Senti Daniele, – domando – cosa posso fare per te? Aiutami a fare qualcosa per questa gente che si dibatte in mille difficoltà – mi risponde – ed avrai aiutato anche me. E’ vero che qui ci sono drogati e piccoli trafficanti, ma c’è tanta gente onesta che lavora duramente, i pescatori ad esempio, che il Comune dimentica volentieri perché sono quelli che costituiscono l’ostacolo più forte all’invasione degli speculatori edilizi cui fa gola Gamboa de baixo sita a due passi dai terreni più costosi di Salvador nel Corredor da Vitoria. Qui ai problemi di tutte le favelas, l’igiene, la difficoltà per i vecchi ed i malati di raggiungere un centro di salute, per via di queste scale ripide e strette, la sicurezza, etc. si aggiunge questa incertezza del futuro dovuta all’appetito insaziabile dei pescecani speculatori. Nel 2007 lo Stato fece una cosa meravigliosa con la  concessione della proprietà dei terreni, ma si fermò lì, nessuna opera di urbanizzazione né un catasto di case e terreni. Io non abbandonerò mai questa gente che mi ha aiutato nel momento peggiore della mia vita. Aiutami così, fai conoscere questa situazione al maggior numero di persone possibili, chissà che qualcuno non ci dia una mano per fare qualcosa di utile per la comunità come un ascensore o qualcosa di simile che possa portare su almeno malati, vecchi e bambini quando hanno bisogno di cure o il pescatore sceso in fondo al mare per tirare su le reti e viene colto da un’embolia, o ancora chi scende giù a ritirare la spazzatura.
Daniele mi porta sulla veranda di casa e mi invita a guardare il mare, la Baiha de todos os Santos, le barche dei pescatori e dietro il palazzone della cantante famosa e a seguire gli altri palazzi dei ricchi di Salvador che si stagliano minacciosi alle spalle di Gamboa de baixo. Non so che dire, non so che fare, ma in ogni caso è giunta l’ora di andare a prendere Carolina a scuola e faccio per andarmene. Ma Daniele vuole a tutti i costi accompagnarmi, rifare le scale con me, adesso che può. Per strada troviamo un ragazzino nero con l’aria sveglia che saluta e ci tiene a dire che è amico vero di Daniele e lui conferma – è un mio figlio adottivo – dice. Giungiamo alla sommità, al mondo “civile”, “e quindi uscimmo a riveder le stelle” mi viene da pensare, ma qui di stelle non ce n’è, piuttosto sta riprendendo a piovere. Ci abbracciamo in fretta con Daniele e corro alla macchina.

Vi è una nuova emigrazione che trova poco spazio nelle cronache e persino tra coloro che si occupano degli italiani nel mondo.Molto spesso di questa nuova emigrazione molto più composita e più consapevole del passato si evidenzia la parte imprenditoriale,la parte che riguarda la cosiddetta eccellenza nel mondo.Essa invece è composta da tante gente normale che alla fine rispetto a quello che ha lasciato,vive una vita altrettanto normale ma non torna più per tanti motivi,compresi quelli familiari.Gente normale a cui a volte le cose non vanno bene,anzi vanno male con la differenza che se sei in Italia qualcuno si occupa di te ma se si all’estero no.Tutto ti risulta più difficile,tutto si complica. Noi ,dopo essere stati autorizzato dall’interessato,vi raccontiamo la storia di Daniele ,milanese a cui le cose in Brasile non sono andate così bene,Non la presentiamo certamente ne’ per dare giudizi morali della serie è meglio starsene in Italia nè sul protagoniosta della storia.Il nostro scopo è quello di tenere vivo le questioni della nuova emigrazione per trovare quelle soluzioni che consentano ai nostri connazionali di avere quelle protezioni sociali che hanno in Italia e per sollecitare chi di dovere ad attivarsi quando vi sono degli italiani bisognosi di aiuto. La nostra rete consolare .lo dico con convinzione,esprime funzionari capaci ed impegnati..ma devono essere messi in condizioni di operare ecertamente le notizie di un ridimensionamento per motivi economici della nostra rappresentanza all’estero non possono che preoccuparci. Un cordiale saluto Daniele Marconcini Presidente AMM ONlus