Il primo Convegno dei Giovani Italiani nel Mondo visto da Valeria Davini ( Delegazione AMM Onlus – Regione Lombardia)
Si è conclusa a Roma il primo convegno dei giovani italiani nel mondo. L’iniziativa, proposta dal primo governo Prodi e attuata dall’attuale esecutivo, si spera possa ripetersi in futuro in linea con un calendario prestabilito e a scadenze regolari. Scopo di questo incontro era dare la possibilità agli italiani residenti all’estero di dibattere e proporre nuove idee rispetto a cinque temi conside-rati fondamentali: identità, lingua, cultura, partecipazione e mondo del lavoro.
Molto autorevole è stata la partecipazione delle alte cariche dello stato alla cerimonia di apertura tenutasi a Montecitorio il 10 dicembre, giornata in cui si festeggia anche l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: i discorsi di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, di Gianfranco Fini e Renato Schifani, rispettivamente presidenti della Camera dei Depu-tati e del Senato, sono stati accolti da oltre seicento giovani uditori provenienti per lo più dall’estero, sostituitisi, per un giorno, agli onorevoli che solitamente occupano quella sala.
I lavori veri e propri si sono svolti alla sede della Fao: i partecipanti si sono suddivisi in cinque gruppi tematici, ognuno corrispondente ad una problematica scelta dagli organizzatori. Il gruppo “Identità italiana e multiculturalismo”, riunitosi in aula plenaria, ha visto una fortissima partecipazione da parte dei ragazzi e una divisione del documento finale in due parti: una relativa al concetto d’identità, l’altra a quello di cittadinanza. È il primo punto che ha scaldato maggior-mente gli animi: in particolare quando si è deciso di non includere la religione nel percorso che contribuisce al rafforzamento dell’italianità, poiché il proprio credo è da considerarsi un diritto inviolabile ma non un elemento senza il quale l’identità di italiani all’estero non esisterebbe. Nella stessa ottica, quest’ultima è stata definita come un percorso soggettivo, quindi diverso per ognuno, ma alla cui creazione contribuiscono valori, persone e istituzioni. Fondamentale, ad esempio, è il ruolo dei genitori nel momento in cui riescono a trasmettere ai propri figli l’amore per il Paese da cui provengono, inteso come attaccamento alle tradizioni, alla terra, ma anche come informazioni rispetto a ciò che in esso è accaduto e accade tuttora: una consapevolezza di quello che si è e si vorrebbe essere.
Due sono, però, le piccole critiche che mi sento di muovere nei confronti di questo avvenimento. La prima è la sensazione che molti di questi ragazzi, nonostante la lunga preparazione che ha preceduto il ritrovo di tutti loro alla sede della Fao, siano arrivati poco informati circa alcuni dati, con scarsi supporti alle loro affermazioni: cosa che ha portato, talvolta, a perdere tempo (ad es. durante la discussione sulla cittadinanza, quando molti non ricordavano che in Italia vale ancora lo ius sanguinis, secondo cui la cittadinanza viene trasmessa dai genitori ai figli, e non lo ius soli). La seconda è il poco spazio concesso ai ragazzi per confrontarsi su cosa sta succedendo in Italia, cosa mantiene viva l’emigrazione dal Paese. È vero che l’iniziativa era volta a discutere di ciò che è necessario fare rispetto alle comunità di connazionali presenti all’estero, ma è vero anche che uno dei punti ritenuti importanti dai partecipanti è la conoscenza di ciò che qui sta avvenendo. E allora perché non chiedersi cos’è che spinge molti giovani ad abbandonare l’Italia, cosa la rende priva di attrattiva per i neolaureati, per i ricercatori, per coloro che cercano un lavoro e qui non lo trovano? Sono queste persone che continuano ad accrescere i gruppi di italiani presenti all’estero e con essi non portano solo le tradizioni che
qui hanno imparato e che li hanno formati, ma anche le esperienze che hanno vissuto, positive e negative: le motivazioni che hanno spinto molti di loro ad andarsene contraddicono le affermazioni che alcuni rappresentanti del governo hanno fatto, ovvero la necessità di promuovere la cultura italiana all’estero. Infatti quello che alcuni di questi ragazzi hanno avuto
l’opportunità di raccontarci contribuisce solo a diffondere l’idea che l’Italia, al momento, non sia un paese che dia delle prospettive ai giovani.
Valeria Davini