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El porsel (il maiale)

….Per Santa Caterina, o neve o brina….sentenziavano i nostri vecchi e, dietro questo ed altri detti popolari, si svolgevano i ritmi lenti della nostra esistenza.Santa Caterina cade il 25 novembre e quasi sempre a quella data, il freddo si è già fatto sentire con brinate notturne e qualche anno anche con la neve. Quindi, grazie al freddo, le mosche si sono già diradate e se scarseggia la farina e la crusca nel cassone, si può anche ammazzare il maiale. In quegli anni non esistevano frigoriferi ed impianti per la conservazione degli insaccati.

 I maiali venivano macellati prevalentemente nei mesi invernali, quando appunto, erano sparite le mosche. Ogni famiglia in campagna aveva il suo maiale, allevato fin da piccolo, (dall’anno precedente- infatti i maiali da macello avevano circa un anno). La famiglia lo aveva accudito e visto crescere giorno dopo giorno, un po’ ci si era affezionati, come fosse un componente della famiglia stessa. Poi, arrivati i primi freddi, si programmava la sua macellazione. Oggi, i giovani cresciuti in questo “nuovo mondo”,  difficilmente possono cogliere le nostre antiche sensazioni. L’uccisione del maiale era per la famiglia un rito che coinvolgeva spesso anche le famiglie del vicinato.
La data prestabilita era preceduta da alcune operazioni preliminari: 
–  La scelta del “masalin”, lo specialista esperto nei segreti della buona riuscita e della conservazione dei salumi..
–  Preparazione degli attrezzi necessari ed acquisto degli ingredienti che l’esperienza e “el masalin” avevano prescritto: sale, pepe, spezie varie, budella essicate.   La sera del giorno che precedeva la data stabilita, non veniva dato alcun cibo al maiale, ricordo che noi ragazzi, affezionati a quel docile e tenero animale, provavamo un senso di tristezza e di colpa, nel sentire l’insistente trufolare lamentoso del maiale che dal porcile reclamava il suo pasto. All’alba del giorno dopo, la casa era tutta sottosopra da una serie di operazioni inconsuete, ordini e richiami. Un gran paiolo sopra il fuoco acceso nel cortile, per l’acqua bollente necessaria.  Tralicci e vecchi tavoli erano predisposti sotto il porticato, pentole, grembiuli e coltellacci lavati allo scopo.  Arrivava il “masalin”, a me sembrava un vecchio ricco di sapere cattivo. Portava con sé un sacco contenente i suoi attrezzi personali che estraeva con diligenza e gelosia. A noi ragazzi sembravano strumenti di tortura e commiseravamo il nostro povero “nino”, il maiale.  Finalmente l’acqua bolliva, allora la povera bestia veniva fatta uscire dal porcile e trascinata su un pesante cassone in legno capovolto, “la mesa”, immobilizzato da alcuni uomini del vicinato, mentre il “masalin”eseguiva l’operazione di uccisione con un affilato coltello. Il sangue che usciva copioso dalla ferita, veniva raccolto con scrupolo in una capiente pentola di rame, (non ho mai saputo il perché del rame). Il maiaIe, oramai senza vita, posto entro il cassone, “la mesa” e coperto di acqua bollente, spelato e pulito poi, appeso per essere squartato. Gli uomini commentavano il possibile peso e le caratteristiche di ingrasso, lo portavano entro casa in due metà. Spesso, le operazioni vere e proprie di concia e confezione salumi, avvenivano il giorno dopo, si diceva per meglio rassodare la carne.  Ad operazioni finite, avevamo appesi alle travi in casa, vicino al focolare: salami di tutte le forme e dimensioni, cotechini, morette e pancette varie, insomma un ben di Dio.  Un dolce profumo invadeva ogni stanza nel tepore di un grosso ciocco acceso per asciugare i salumi. Allora il nonno si preparava a cucinare un abbondante risotto e nei commenti positivi della buona annata, gli uomini progettavano l’acquisto del maialino per il nuovo anno.