Jorge Alberto Garrappa Albani (Giorgio) è d’origine italiana pronipote di quella generazione d’italiani che a cavallo tra l’800 e il ‘900 lasciò tutto in patria per trovar fortuna in America. La famiglia della mamma era originaria di Terno d’Isola, (Bergamo) mentre quella del papà proveniva da Canosa di Puglia (Bari) . Nato il 24 Marzo 1951 a Rafaela, Provincia di Santa Fe, Repubblica Argentina. Architetto, Professore Universitario nell’’Università Cattolica di Santa Fe, nella Scuola Tecnica “Guillermo Lehmann” di Rafaela e negli ultimi anni valido corrispondente e collaboratore dell’Associazione Mantovani nel mondo dall’Argentina.
Lo conosciamo da vicino in questa breve intervista di Patrizia Marcheselli
In quale periodo sono emigrati i suoi antenati ?
Il nonno materno, Pietro Albani, emigrò nel 1888 assieme a suo padre Battista e alle sorelle Maria Caterina e Maria Carolina. Arrivarono a Buenos Aires il 26 Ottobre 1888. Erano partiti dal porto di Genova. Il nonno paterno, Gaetano Garrappa, partì nel 1906, con un tutore perchè era ancora minorenne, ma poi se la cavò da solo! Tutt’e due emigrarono per motivi di lavoro, in cerca di un futuro migliore, per sfuggire dalla miseria. Nel caso di nonno Albani, era rimasto vedovo poco prima e credo sia stato questo un’altro forte motivo per iniziare una nuova vita in America.
Ha fatto una ricerca per conoscere con quali navi sono arrivati?
Si, Battista Albani con la sua famiglia arrivò con la nave “Perseo”, un battello di 4158 tonnellate, utilizzato in quegli anni per trasportare “gente povera”. Gaetano Garrappa potrebbe essere giunto sul piroscafo “Brasile” ma non ne sono sicuro perchè non risulta nei registri che ho consultato. Forse il foglio si è perso o rovinato com’è accaduto in altri casi.
Conosci il lavoro che facevano in Italia prima di emigrare?
Il bisnonno, Garappa, faceva il cocchiere del Conte Miani di Puglia, secondo il passaporto del nonno Gaetano. Il bisnonno, Battista Albani, invece era contadino nell’Isola bergamasca, fra l’Adda ed il Brembo.
Hai avuto modo di conoscere il loro pensiero su come ricordavano l’Italia?
Purtroppo non ho mai conosciuto i nonni. Pietro morì nel ’29 e Gaetano nel ’50 però sono cresciuto accanto al mio caro prozio Felice Garrappa, nonno adottivo, che ho tanto amato, reduce della Grande Guerra. Fu proprio lui ad insegnarmi la lingua italiana, ad amare la terra natia ed il suo paese natio Polignano a Mare, nel basso Adriatico. Lui mi raccontava come aveva fatto la guerra da Caporale Mitragliere sul Grappa e ricordava spesso quel mare che diceva: “.. sembrava una tavola blu” e gli mancava tanto.
Quali sono state le difficoltà e gli ostacoli più complessi che hanno affrontato nel nuovo paese?
Sono convinto che il peggio era la micidiale traversata transoceanica, poi credo sia stata la barriera della lingua. Imparavano lo spagnolo, certo, ma la pronuncia dialettale e l’inserimento di parole e modi di dire italiani, rimanevano per tutta la vita e diventavano il bersaglio degli scherzi altrui.
Ci sono tradizioni italiane di cui ha memoria o che si continuano a seguire? Quali?
La tradizione gastronomica famigliare è stata ed è sempre rispettata a casa mia. La pasta, l’olio di oliva, la bagna cauda, il tiramisù o la panna cotta stanno con noi e fanno parte del buon mangiare. Per fortuna sia la mamma che la moglie hanno ereditato questo dono e sono entrambe due bravissime cuoche. Per quanto riguarda la cultura musicale, viene dal nonno pugliese e da mio padre Idiolindo Luigi, tutt’e due erano musicisti. Il nonno suonava il pistone (una specie di tromba) ed era sottodirettore della Banda del Comune. Mio papà suonava il tamburo assieme a lui. Successivamente costituì l’orchestra da ballo Garrappa e la prima Sinfonica della Provincia che battezzò “Giacomo Puccini”, in cui suonavano mio padre e mio zio Gaetano. Da questo il piacere per la musica mi viene sin dalla culla. Quando avevo sei anni cominciai a studiare pianoforte ad un conservatorio, poi mi sono innamorato della batteria ed è quello che suono ancora oggi in un complesso con gli amici. Sono un innamorato della musica italiana degli anni ‘50, ’60 e ’70. Muoio per Mimmo Modugno che a parte di essere pugliese di Polignano a Mare, continua ad essere il punto di riferimento della canzone italiana. Comunque mi piacciono tantissime canzonette come “La Piemontesina” suonata da Piero Montanaro e colonne sonore bellissime come “Meraviglioso” del proprio Modugno, “Luglio” di Riccardo Del Turco, “Champagne” di Peppino Di Capri, “Rose Rosse” di Massimo Ranieri, “Siesta” di Bobby Solo, “I giorni dell’arcobaleno” di Nicola Di Bari, “Gesù bambino” di Lucio Dalla o “La riva bianca la riva nera” della Zanicchi
Secondo Lei, quali sono i punti in comune tra l’Italia e l’Argentina e quali invece le differenze?
Secondo me le differenze geografiche sono grandissime, spesso immagino la loro sorpresa nell’arrivare in un territorio così esteso, orizzonti senza limiti e dove percorrere lunghissime distanze per ritrovarsi con il mare o la montagna! Le città sono diverse perchè l’Argentina non ha avuto un medioevo come l’Italia, poi le somiglianze sono tantissime soprattutto nella nostra regione, cioè la Pampa Gringa. Il sangue attira moltissimo e la cultura portata dalla diaspora italiana qui da noi è molto forte, basta vedere l’architettura delle sedi delle Società italiane, gli ospedali italiani, le vecchie case ispirate alla “domus pompeiana” oppure lo sviluppo straordinario delle piccole e medie imprese, di stile lombardo, insediate nella nostra zona.
In quali situazioni sente di “agire” da italiano e in quali no? Perchè?
Io ed anche mia moglie, sentiamo di agire molto più da italiani che da argentini perchè l’Argentina è cambiata moltissimo negli ultimi trent’anni. Sebbene l’Argentina è il Paese più italiano diciamo dopo l’Italia, per quantità d’italiani o discendenti, secondo me è retrocessa.
Qual`è il suo rapporto con l’Italia?
I primi rapporti con l’Italia sono stati maggiormente sportivi : il mio cuore batte molto forte sia per la Ferrari che per il Milan. Qualche anno fa, indagando sugli avi, ho contattato il caro amico bergamasco -Gabriele Previtali, Direttore del periodico “Il Giornale dell’Isola”. Con lui ho iniziato, nel 2001, i primi lavori giornalistici in italiano. Poi, il rapporto più forte ed organico con l’Italia e in particolare con la Lombardia l’ho avuto grazie alla visita di un altro caro amico, Daniele Marconcini, presidente dell’Associazione Mantovani nel Mondo. Durante un suo viaggio a Raffaela, l’ho incontrato nei locali della Società Italiana ed aveva bisogno di un “cicerone”. Io mi proposi e lo accompagnai facendogli da interprete improvvisato. Dopo un po’ di tempo Daniele mi ‘costrinse’ a partecipare al Concorso Letterario Internazionale ENEA 2003. Il mio saggio, intitolato “Diario di Bordo”, venne sorprendentemente segnalato dalla notissima giuria dell’evento. E’ stato un grande onore per me, non lo dimenticherò mai. Daniele Marconcini successivamente mi chiamò ancora una volta per fare il Corso di Dirigenti di Volontariato, finanziato dalle Regione e organizzato a Mantova nel 2004. A quell’epoca non ero legato a nessuna Associazione e lui fece una grossa scommessa su di me inserendomi poi in uno staff internazionale così importante come il Portale Giornalistico Lombardi nel Mondo.Da quel momento ho collaborato costantemente sia per realizzarlo che per consolidarlo. Per fortuna ce l’abbiamo fatta, ho pubblicato complessivamente circa 600 articoli ed il Portale è visitato giornalmente da migliaia di utenti da tutte le parti del mondo.
Qual`è il suo rapporto con la lingua italiana?
Come ho già detto, la lingua non l’ho mai imparata a scuola ma da piccolo, 6 o 7 anni a casa, accanto allo zio-nonno Felice. Da quando lui è mancato, nel ’69, avevo smesso di parlarla. Mi ero tuffato nell’ inglese, non so perchè. Alla fine degli anni’80 io e mia moglie avevamo collaborato con la traduzione di testi italiani per un saggio sulla presenza della Massoneria a Rafaela, scritto da un amico professore. Poi nel ’97, prima di andare per la prima volta in Italia, ci siamo messi a ripassare un po’ da soli. In Italia poi ciò che aveva seminato Felice maturò ed io cominciai a parlare in italiano. Successivamente mia moglie ha frequentato la Dante Alighieri e lei mi ha aiutato moltissimo nel perfezionare la grammatica italiana e l’italiano scritto.
E con la cultura italiana?
La cultura italiana espressa dalla musica, l’architettura, la letteratura, la cucina e lo sport mi è stata sempre molto vicina, dentro. Io credo che per ottenere la doppia cittadinanza , con i diritti a tutti gli effetti, dovrebbe essere obbligatorio la conoscenza della lingua, della cultura, della storia e la geografia italiana.
Ha visitato recentemente l’ Italia?
Nel 2004 è l’ultima volta che sono stato in Italia, invitato da Daniele Marconcini. Poi è diventato più difficile ritornare nel Bel Paese. L’Italia dovrebbe promuovere una politica che faciliti ai discendenti visitare l’ Italia….
Ci parli di Lei della sua vita , interessi e aneddoti che vuole condividere con noi.
E’ difficile parlare di noi stessi, dovrebbero farlo gli altri. Gianni Nazzaro canta una bella canzone, “A modo mio” e credo di rispecchiarmi nelle parole. Nella mia vita ho fatto un po’ di tutto, forse per essere figlio unico e perciò troppo coccolato da mamma e papà nonchè dal mio caro zio Felice. Quando avevo 6 anni facevo equitazione con un cavallo da salto chiamato “Pichè”, alla stessa età cominciai a studiare il pianoforte come già detto. Ai sedici facevo il cameriere in una trattoria di Mar del Plata di cui mio padre era socio: La Più Bella era il nome della trattoria, immaginatevi! Nel ’69, facevo parte di un complesso di musica Pop e partecipammo ad un concorso nazionale, classificati al terzo posto. L’anno dopo m’iscrissi all’Università di Cordoba fino ad ottenere la laurea in Architettura nel ’76. Nel frattempo facevo politica universitaria, schierato nel Peronismo giovanile. Nel ’72 e nel ’73 sono andato a ricevere l’esule Peron nel suo ritorno al Paese. Già laureato nel ’77 sposai la bella Ani Strada Lanzetti. In seguito vennero i nostri tre gioielli, Luciano (30), Nicolas (29) e Jorge Luis (25). A parte la mia professione, che esercito da 30 anni, mi sono sempre piaciute la docenza e la politica per cui, dal 1978, sono professore nella Scuola Tecnica e dal 2004 all’Università. Nel ’91, Assessore ai Lavori Pubblici nel Comune di Rafaela e nel ’98 Segretario del Consiglio Comunale. Vicepresidente della Mutua Professionale per 10 anni e funzionario dell’Albo degli architetti della Provincia di Santa Fe, Vicepresidente della Società Italiana “Vittorio Emanuele II” di Rafaela. Dall’avventura letteraria del 2003 a Mantova mi sono messo a scrivere prevalentemente racconti e saggi sull’emigrazione, partendo dalla mia ricerca famigliare ma non solo. Nel 2008, fu pubblicato il mio primo libro sull’architettura delle chiese di Rafaela promosso dal vescovado. Quest’anno ne uscirà un altro intitolato “I segreti della Cattedrale”: racconto storico-architettonico sulla Chiesa San Rafael. Insomma…non sono stato un santo e lo sa pure Dio, ma ho sempre fatto tutto a modo mio…vero!? Aneddoti? Ne ho tanti, mi viene in mente quel giorno del ’97 in cui andai a trovare i miei cari in Puglia. Io ed Ani eravamo a Roma e avevamo preso il Pendolino dalla Stazione Termini per Bari Centrale. Devo dire che, poco prima di partire per l’Italia, avevo saputo che mio cugino Angelo era parrucchiere e benché gli avessi inviato una mia fotografia per posta non lo conoscevo. Quando il treno si fermò a Bari, la stazione era talmente gremita di gente che sarebbe stato difficile trovarci. Siamo scesi, intanto io cercavo, ansioso, tra la folla. Vidi una persona che aveva un atteggiamento molto famigliare per me, lo vidi camminare e vidi in lui mio padre…e corsi verso di lui. Infatti era proprio Angelo… erano talmente simili le caratteristiche, non solo nei gesti, ma anche la voce assomigliava molto a quella di mio padre, incredibile ma vero. Mi chiese dove volevo andare e gli dissi: “Portatemi al cimitero…voglio visitare i miei cari scomparsi… e poi dove volete voi “. Sono tornato a casa e volevo sapere tutto della famiglia lontana. Quei pochi giorni non li dimenticherò mai e li porterò con me fino all’ultimo sospiro.