Lunario contadino di Franco Turrina
Agosto
Era il mese delle scorribande nelle melonaie e nei frutteti. “El taiador” era lo specialista che conosceva, dal rumore dell’anguria battuta con il manico della roncola, se matura o acerba. Noi ragazzi davamo un aiuto nel trasportare carriolate di angurie dal campo alla baracca. In campagna era considerato un mese tranquillo, la trebbiatura era finita, la risaia era in pieno sviluppo ma non richiedeva lavori particolari, il grano turco richiedeva solo acqua. Quindi si guardava il cielo sperando nella pioggia o chi , fortunato, disponeva di acqua dai fossi, irrigava giorno e notte le arse piantagioni.
Settembre
La corte si animava, lunghe file di carri portavano sotto i portici cataste di granoturco, gambi e pannocchie ancora coperte dalle foglie. Era organizzato allora un lavoro a cottimo che vedeva impegnate donne e bambini. Scartocciare le pannocchie in pratica liberare la pannocchia dall’involucro di foglie che la proteggevano. Una incaricata segnava le ceste di pannocchie pulite accreditandole alla rispettiva operatrice. Il numero delle ceste realizzato avrebbe dato diritto ad altrettante ceste di tutoli ricavati dopo la sgranatura delle pannocchie che avveniva a macchina, la sgranatrice.
I tutoli delle pannocchie erano il compenso per quel lavoro e servivano ad alimentare la stufa con la loro debole fiamma durante i mesi invernali. Il lavoro qualche volta ed in qualche corte, proseguiva anche di sera, alla luce di lampade a petrolio. Le foglie secche che avvolgevano le pannocchie, (i scartoss), selezionati i migliori e raccolti per farne materassi per il letto.
Dopo l’8 settembre 1943, le corti disponevano di parecchia manodopera gratuita, per questi lavori. Erano le centinaia di giovani militari sbandati che tentavano con ogni mezzo di raggiungere le loro famiglie lontane. Lasciate le divise ed abbandonate le armi e le caserme, vestiti con vecchi abiti di fortuna offerti loro dalle donne della corte, si prestavano a quei lavori per meglio mimetizzarsi agli occhi vigili dei tedeschi e del nascente esercito di “Salò”.
Ottobre
Si preparavano le botti e gli attrezzi per la vendemmia. Le botti, lavate internamente con del vino vecchio. Se presentavano muffe o incrostazioni, si dovevano aprire togliendo uno dei due tappi, raschiare internamente ogni residuo, lavare e sterilizzare con fumigazioni di zolfo. Queste si effettuavano bruciando della polvere di zolfo all’interno di ogni botte o recipiente. Dopo la vendemmia e la pigiatura, si diffondeva in ogni corte il classico odore di vino in fermentazione.
In ottobre si tornava a scuola, riprendevamo le nostre cartelle di fibra o di legno a tracolla, i nostri astucci con pennini spuntati, i vecchi libri sgualciti e carichi di macchie d’inchiostro.
Il riso. La raccolta del riso occupava donne ed uomini della corte e dei paesi vicini.
La trebbiatura si effettuava fino a tarda notte alla luce di fari o lampade a petrolio e se la stagione era piovosa, anche l’essicatoio funzionava giorno e notte.
Quando tutto il riso era finalmente nel granaio, era usanza festeggiare il raccolto con un grande pranzo,”la gasaiga” che veniva allestito sotto i partici della corte, con lunghe tavolate e balle di paglia a sedere. Alla gasaiga partecipavano tutti gli addetti alla risaia e spesso anche le loro famiglie. Il menu era a base di riso, salamelle, pesce e tanto vino.
Con questa “festa” finivano i lavori impegnativi che avevano richiesto un alto numero di braccianti. L’aratura e le semine d’autunno concludevano l’annata dei lavori in campagna.
Novembre
San Martino, i traslochi. L’undici novembre era consuetudine che si effettuassero i traslochi. Famiglie che si spostavano da un paese all’altro, da una corte all’altra, da un padrone all’altro. In paese arrivava gente nuova, mai vista, magari con dialetti diversi da paesi lontani, (o che a noi sembravano lontani). Dopo le iniziali reciproche diffidenze, si creavano nuove amicizie, nuovi sopranomi, nuovi amori. Nella nostra zona, in quegli anni, arrivavano tante famiglie provenienti dal veneto e dal bresciano. Probabilmente dalle loro parti c’era più miseria che non da noi. (Il problema si ripete anche ai nostri giorni, le cause sono sempre quelle anche se riflettono condizioni e dimensioni oggi planetarie).
Per Santa Caterina o neve o brina, quindi stagione propizia per ammazzare il maiale.
Anche questo era un lavoro che andava oltre le operazioni in se. Era un rito che coinvolgeva il vicinato, la corte. Tante famiglie, con una parte del maiale macellato, saldavano i debiti con il bottegaio. Erano chiusi i conti su quel quadernetto blu, unto e bisunto sul quale durante l’anno erano state segnate le spese e gli acconti con un mozzicone di matita copiativa. Ritirato il vecchio libretto ed aperto uno nuovo che avrebbe segnato le tappe del vivere di una famiglia, le sue miserie, i suoi consumi.
Dicembre
Santa Lucia 13 dicembre provocava sempre una eccitazione nella corte, sogni e fantasie e tante aspettative: ci aspettavano che la Santa Lucia, con il suo somarello, portasse a ciascuno nella notte del 13 dicembre, doni e giocattoli. Si doveva preparare una tazza di crusca per il somarello, da lasciare sul davanzale della finestra, affinché la santa al suo passaggio potesse servirsene con facilità. Al mattino, tutti a correre per vedere cosa ci avesse lasciato sulla finestra la santa misteriosa. I nostri doni erano modesti: due aranci, tre noci, un torroncino avvolto con carta colorata, una bambolina di pezza per le bambine o un cavallino di cartapesta, un palloncino colorato per i maschietti. Annusavamo increduli ed estasiati gli odori ed i profumi che accompagnavano questi nostri doni dalle origini misteriose. Poi, nei giochi della giornata facevamo i confronti e già constatavamo le differenze, ma non si andava oltre.
Arrivava presto il Natale e portava nelle stalle leggende ed antiche filastrocche.
Lo sfoggio di qualche nuovo indumento, per la ricorrenza, il suono festoso delle campane, i profumo di cibi più ricchi, inusuali, diffondevano negli animi un senso religioso di gioiosa speranza. Era passato un altro anno, nelle stalle si commentavano i raccolti, le nascite, gli amori e si ricordavano quelli che ci avevano lasciato.
Franco Turrina