Dall’Alba dei Tempi, la civiltà contadina ha tenuto in grande considerazione gli animali domestici e da fattoria: bovini, suini, ovini, polli…per concludere con cani e gatti, da sempre in simbiosi con gli uomini, hanno ispirato riti propiziatori.
Il cattolicesimo riassunse ciò nella figura di un santo dalla folta barba bianca circondato da animali e con ai piedi un cucciolo di maiale. Da secoli infatti, il 17 gennaio in terra nostrana e non solo ricorre la festa di SANT’ANTONIO ABATE o secondo la vulgata mantovana, “Sant’Antoni dal Gugin” o “Chisuler”.
Il secondo soprannome derivava dal fatto che in giornata i nostri avi consumavano il “chisoel”, una sorta di focaccia preparata con ingredienti poveri. Sino agli anni ’50 del secolo scorso, il culto di Antonio Abate era sentito e professato soprattutto dagli allevatori di bestiame; ed essi in massa partecipavano alle funzioni religiose e si astenevano dal lavoro quotidiano.
In ogni stalla era appesa un’effige del santo posta in una nicchia ed attorniata da lumini; in occasione della festività o nei giorni immediatamente precedenti o successivi, i sacerdoti andavano a benedire le stalle ricevendo in cambio salami o altri doni.
Per Sant’Antonio poi gli equini e bovini dovevano stare a riposo, pena conseguenze nefaste per i proprietari; e gli “amici dell’uomo” in quella data dovevano essere nutriti con alimenti di qualità e vigeva ovunque il divieto di macellazioni.
Spesso gli animali d’allevamento erano portati nel sagrato della chiesa del paese per venire benedetti; il rito aveva luogo al termine della messa all’allegro suono delle campane.
In tempi più vicini a noi, dopo la parte religiosa parrocchie ed associazioni celebravano il popolare santo con delle piccole sfilate degli animali da stalla e degli allevatori nel centro dei borghi; spesso colazioni o pranzi concludevano all’insegna della convivialità una delle ricorrenze più sentite della società rurale.
In continuità con l’eredità del passato, anche oggi in alcuni centri del Mantovano si rinnovano soprattutto gli usi gastronomici.
Ad Ostiglia ad esempio – il secondo maggior Comune del Destra Secchia ed avente il santo dalla barba bianca come patrono – la Pro Loco sotto l’egida dell’Amministrazione Comunale organizza domenica 15 presso la Sala Polivalente un pranzo a base di antiche ricette. E per calarsi ancor più nel clima dell’antica festa, i commensali avranno poi modo di osservare una collezione di arnesi e dioggetti da lavoro dell’antica civiltà rurale lì esposti. Infine, sarà a disposizione degli intervenuti il libro “Al divin guget” (Il divino suino): le tradizioni, l’allevamento, la macellazione, le fasi di lavorazione dal dopoguerra ad oggi. Il testo, scritto dall’esperto d’arte culinaria Vittorio Antonioli, viene riproposto oggi dopo la prima uscita del 1998 a cura della Pro Loco ostigliese.
Roberto Oliani
* Testo consultato: “Nello Loris Tinti ed Enrico Spelta: I Giorni di Festa. Tradizioni e ricorrenze nel
territorio ostigliese. Edito a cura del Comune di Ostiglia – 1999.